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Azzurri: dal tetto d’Europa ai playoff per la qualificazione per Qatar 2022

La differenza fra le due “stagioni” azzurre sta nel fatto che a maggio, l'Italia ha avuto tutto il tempo per preparare la missione europea

Solo quattro mesi fa la Nazionale di Roberto Mancini saliva sul tetto d’Europa, vincendo a Wembley contro l’Inghilterra. Quattro mesi dopo, eccola lì a rincorrere un posto per i prossimi mondiali. Contraddizione? No, assolutamente, e neppure mi aggiungo a chi ritiene che abbiamo vinto l’Europeo per grazia ricevuta, per due calci di rigore e con tanta fortuna. Capita. Magari non doveva capitare, ma è capitato. Cosa è successo? L’Italia ha vinto Euro 2020 non perché era la più forte, ma semplicemente perché nell’arco temporale di quei trenta giorni, è stata la migliore. Merito di Roberto Mancini che ha saputo plasmare a sua immagine e somiglianza il suo gruppo al punto da farne la colonna sonora di un Europeo che inevitabilmente si è specchiato nella bellezza della nostra nazionale.

Quattro mesi dopo la musica non è cambiata, la Nazionale è sempre la stessa, al netto di una serie incredibili di infortuni, che ha privato il ct dei suoi migliori nel momento più delicato delle qualificazioni. E’ passata la Svizzera e agli azzurri non rimane che il salvataggio attraverso i playoff che non sono affatto facili. Il 26 il sorteggio dei gironi, con la semifinale all’Olimpico contro una non testa di serie e finale a sorteggio con un’altra big. Roba da far salire i brividi sulla schiena. Cosa è cambiato in quattro mesi? Sicuramente c’è stata meno spensieratezza, perché a Euro 2020 l’Italia non era la prima donna, non era obbligata a vincere anche se la parola vittoria ha sempre fatto da corollario alle parole del ct. L’Italia non ha affatto fallito, sia ben chiaro. Ha incontrato delle difficoltà, la prima contro la Bulgaria a Firenze nella prima dopo la vittoria di Wembley. E quella che sembrava la partita più facile di questo mondo, si è tramutata in un match dalle mille insidie. Il pari finale e quei due punti persi, hanno finito con il pesare come macigni sulla testa degli azzurri che poi ci hanno messo tanto del loro contro la Svizzera. Bastava vincere una delle due sfide (a Basilea il dominio azzurro è stato nettissimo, ma senza monetizzare) per evitare la pericolosa coda degli spareggi.

Due rigori sbagliati dal candidato al pallone d’Oro Jorginho, tre se si considera quello, per fortuna, ininfluente in finale, salvato poi dalla parata di Donnarumma che ci ha regalato il titolo. La differenza fra le due “stagioni” azzurre sta nel fatto che a maggio, l’Italia ha avuto tutto il tempo per preparare la missione europea, mentre stavolta gli impegni si sono ingolfati con quelli di campionato e coppe europee che hanno portato dolori per alcuni infortuni eccellenti. Verratti su tutti, perché è l’unico verticalizzatore della manovra. Poi l’assenza di Spinazzola che a sinistra fa invidia anche ai Frecciarossa 1000 delle nostra rete ferroviaria. E’ mancato anche Ciro Immobile, che magari in azzurro segna poco ma segna oltre a fare tanta densità nella metà campo avversaria, portar via avversari per permettere l’inserimento a rimorchio di Barella. Poi è mancata soprattutto un briciolo di fortuna. Ma l’Italia non è cambiata. Magari un po’ stanca, ma pur sempre la squadra campione d’Europa.

La Figc ha chiesto uno stage lungo a gennaio e lo spostamento della giornata numero trenta del campionato (in programma c’è il derby di Roma), per permettere a Mancini di preparare in dieci giorni (e non tre) la doppia sfida che vale il Qatar. Lega e società, hanno il dovere di assecondare questa richiesta perché la Nazionale non è solo è patrimonio del Paese, ma una esclusione dal prossimo mondiale, non sarebbe la sconfitta della Figc, ma del sistema calcio.

Troppo critiche, degli stessi che l’11 luglio in fretta sono saliti sul carro “manciniano”, pronti a scendere alla prima fermata, dopo il primo incidente di percorso. Invece questa Nazionale ha bisogno di sentirsi amata, in particolare da chi muove le file del mondo pallonaro. Andremo in Qatar, non è una profezia, ma la volontà che ho letto negli occhi di Roberto Mancini e dei suoi ragazzi. Confidando nel recupero di tutti i migliori. Perché a marzo, o si fa l’Italia, o si muore. E il nostro calcio, non può proprio permetterselo.

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