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Aumento tassi di interesse: perché la Bce sbaglia

La notizia è che la BCE abbia alzato, ancora, il tasso di riferimento portandolo da zero al 3% in pochi mesi per fronteggiare lo shock inflazionistico che ha colpito il continente lo scorso anno ma la domanda che sorge in molti è “perché?”.

Facciamo un passo indietro, sono passati oltre dieci anni dal “whatever it takes” di Mario Draghi che fermò la crisi dell’Euroarea ma i postumi di quel periodo non si sono mai realmente assorbiti in nessuna parte d’Europa e la ripresa, dopo gli anni di crisi finanziaria, si è verificata in maniera piuttosto contenuta con un’inflazione media che è sempre rimasta oscillante intorno all’1% annuo pur con cadute in area deflattiva tra il 2015 e il 2017 e, soprattutto, nel 2021 durante l’emergenza pandemica. In questo scenario la Banca centrale ha utilizzato tutti gli strumenti a sua disposizione, convenzionali e non, per spingere l’economia e raggiungere il tasso d’inflazione obbiettivo del 2% circa. Un attimo… ma cos’è l’inflazione, alla fine? No, non è il mero aumento dei prezzi che, invece, ne è una conseguenza. L’inflazione è la progressiva perdita di valore della moneta dovuta, alla fine, a un’offerta, cioè la moneta circolante, superiore alla domanda, cioè la richiesta di credito per dirla con l’accetta, per questo si dice che un tasso di inflazione contenuto, intorno al 2%, sia un’indicazione di crescita sostenibile del sistema visto che l’offerta di moneta è sì superiore alla domanda ma questa cresce progressivamente insieme a investimenti e consumi.

Nel 2022, uscendo da una crisi epocale dovuta alla pandemia di Covid 19 e con lo scoppio della guerra tra Ucraina e Russia, però si è assistito a un rialzo repentino del tasso ufficiale di inflazione spinto dal rincaro dei prezzi delle materie prime e, soprattutto, degli idrocarburi. Ma che c’entra la moneta? Infatti in questo non c’entra nulla. I rincari dei prezzi sono stati dovuti da uno shock esogeno e di mercato, indipendente dalle politiche monetarie della BCE, infatti si è propagato da alcune categorie merceologiche, di grande impatto come carburanti e gas, perché il loro prezzo va a influenzare diverse altre categorie, dal cibo ai trasporti ad esempio.

Di fronte a questo, il board della BCE ha colto la palla al balzo per chiudere la stagione del “denaro facile” e iniziare una politica di innalzamento dei tassi senza che questo, però, abbia avuto alcun effetto diretto sui prezzi finali. Ora, diciamolo onestamente, dopo la pandemia e l’avvio del programma NGEU era logico che si iniziasse un percorso di normalizzazione della politica monetaria perché i tassi negativi sui depositi e a zero sul rifinanziamento non sarebbero stati sicuramente sostenibile nel lungo periodo; il problema, infatti, non è nel rialzo dei tassi ma nel “furore ideologico” con cui tutto questo sia stata messo in atto e per il fatto che venga condotto in maniera miope e senza alcuna correlazione con la realtà e con la sostenibilità del sistema economico.

Quest’ultimo, infatti, nonostante i tassi di crescita registrati tra il 2021 e il 2022 è ancora debole e altamente indebitato, non solo in Italia, e un rialzo troppo repentino dei tassi potrebbe spingere uno stato di recessione con conseguenti problemi nel rimborso dei finanziamenti per aziende e famiglie che creerebbe, potenzialmente, un nuovo problema di NPE (Non Performing Exposures) sul sistema bancario che potrebbe generare una nuova stretta sul credito con il conseguente crollo di consumi e investimenti. Tutto questo è stato sottolineato da un recente report della FABI, il principale sindacato bancario in Italia, che ha analizzato come questo rialzo repentino dei tassi andrà a colpire trasversalmente famiglie e imprese da un lato rendendo più difficoltoso l’accesso al credito, sia a livello di mutui che di credito al consumo, e dall’altro andando a rendere più oneroso il rimborso dei prestiti già in essere a tasso variabile che potrebbe vedere un innalzamento fino al 43% delle rate mensili cosa che potrebbe mettere a rischio, appunto, la solvibilità stessa dei crediti concessi. Gli uffici della BCE sembra che non si preoccupino, però, di un’eventuale recessione, poiché è l’inflazione l’unico obiettivo, ma perché questa non ha dato segni di frenata finché i mercati non hanno pesato il rischio Russia e hanno spinto alla normalizzazione il prezzo di gas e petrolio?

La risposta vera è qui: perché la crescita del livello generale dei prezzi era dovuta a una dinamica di mercato, non influenzata minimamente dalla politica monetaria, e questa stessa dinamica sta riportando la progressione dei prezzi verso un livello accettabile.

Diciamo che se da un lato la paura della BCE di una spirale inflattiva, che non c’era, ha causato una normalizzazione repentina della politica monetaria, che è un bene, questa stessa paura sta creando un’alea non indifferente poiché non è prevedibile quale possa essere l’azione futura della Banca centrale. Sicuramente i tassi in continuo rialzo sono un freno agli investimenti e ai consumi, perché non è possibile fare una previsione verosimile sul costo dell’indebitamento nel prossimo futuro, e questo dovrebbe cominciare ad essere chiaro anche a chi, comodamente, siede sulle poltrone a Francoforte, l’economia non è una materia per apprendisti stregoni ma è una disciplina che fa dell’analisi dei dati il punto cardine di ogni decisione perché da qui nascono le aspettative che stanno alla base delle decisioni di spesa e di investimento per il futuro.

Sarebbe il caso, forse, che la guida della BCE si fermi un momento per analizzare lo scenario e le possibili evoluzioni future prima anche solo di annunciare nuove mosse, come il possibile nuovo rialzo dei tassi a marzo, che, magari, dovranno essere tralasciate per via di una trasformazione inattesa della situazione, cosa che farebbe perdere la credibilità dell’istituzione che, in ogni caso, resta la sua vera forza sullo scacchiere mondiale e una volta perduta difficilmente potrà essere riacquistata in tempi brevi. Sarà per questo che il governatore Christine Lagarde ha già messo le mani avanti annunciando un probabile cambio di strategia che porterebbe a non toccare più i tassi?

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