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L’attualità della Lumen Fidei di Papa Francesco a 10 anni dalla pubblicazione

Foto di Diana Vargas su Unsplash

Dieci anni fa veniva pubblicata la prima enciclica di papa Francesco, Lumen Fidei. Che cosa ha rappresentato per la Chiesa e per il mondo questo testo? Se volessimo riassumere tutto in poche parole potremmo dire che il punto decisivo è quanto venne indicato da moltissimi: “Lumen fidei sottolinea il legame tra fede e amore, inteso come il grande amore di Dio che ci trasforma interiormente e ci dona occhi nuovi per vedere la realtà. L’ampia parte dedicata al rapporto tra fede e ragione ci illustra che la fede non è intransigente, il credente non è arrogante”.

La sintesi sarebbe efficace, il no di Francesco alle guerre culturali, ispirate soprattutto da certe teologie americane, risulterebbe chiarissimo. Così il fatto che questo testo, firmato dal papa regnante, sia stato in gran parte elaborato dal papa emerito, potrebbe portare a una importantissima linea di piena continuità. Si legge al punto 7 dell’enciclica: “Queste considerazioni sulla fede — in continuità con tutto quello che il Magistero della Chiesa ha pronunciato circa questa virtù teologale —,intendono aggiungersi a quanto Benedetto XVI ha scritto nelle Lettere encicliche sulla carità e sulla speranza. Egli aveva già quasi completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede. Gliene sono profondamente grato e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi. Il Successore di Pietro, ieri, oggi e domani, è infatti sempre chiamato a “confermare i fratelli” in quell’incommensurabile tesoro della fede che Dio dona come luce sulla strada di ogni uomo”.

Eppure due elementi spiccano nella forma di questa conferma. Il primo riguarda il titolo: il titolo è in latino, a differenza delle due successive, Laudato si’ e Fratelli tutti. Potrà apparire un dettaglio, forse non è proprio così. Lumen Fidei, come tante altre encicliche, si rivolge ai vescovi e attraverso di loro ai fedeli. Ha scritto Giuseppe Savagnone su SettimanaNews: “ Il documento si rivolgeva «ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate, e a tutti i fedeli laici» e partiva dai testi della Rivelazione. Benedetto XVI, nella sua enciclica sociale “Caritas in veritate” (2009), aveva aggiunto, ai suddetti destinatari, anche «tutti gli uomini di buona volontà». (Come già Giovanni XIII, nda) In ogni caso, il punto di partenza era la fede che accomunava i membri della Chiesa. Perciò le encicliche normalmente si aprivano con un’esposizione dei fondamenti biblici e magisteriali del messaggio che volevano comunicare, passando poi alle applicazioni ai problemi della comunità cristiana e della società”.

Nelle successive encicliche di Francesco non sarà più così. Tanto Laudato si’ quanto Fratelli tutti cominciano diversamente. Al numero 17 di Laudato si’ si legge: “ Le riflessioni teologiche o filosofiche sulla situazione dell’umanità e del mondo possono suonare come un messaggio ripetitivo e vuoto, se non si presentano nuovamente a partire da un confronto con il contesto attuale, in ciò che ha di inedito per la storia dell’umanità”.

Dunque di cosa stiamo parlando? Di una “gentile concessione” del papa regnante al suo predecessore? Ovviamente è una tesa legittima, ma io non la penso così. Francesco ha assunto il punto di partenza, anche formale e lessicale, per quindi procedere. Un’enciclica sulla fede si rivolge a chi crede, ma non perché escluda il resto dell’umanità. Credo sia vero per Benedetto e per Francesco. Ma dal punto di vista di quest’ultimo l’enciclica sulla fede appare l’inizio di un percorso: diciamoci qualcosa su di noi, su cosa ci unisce, e poi procediamo a parlare con tutti. Dunque il processo avviato da Francesco con le sue encicliche sarebbe stato meno esplicito, meno accessibile, se non fosse cominciato così. Non sappiamo come sarebbe stato, ovviamente. Ma Lumen fidei a me sembra il primo passo di un cammino, non certo una stonatura.

Il ruolo riservato ad Abramo nel testo può forse indurci a pensare che lo sviluppo abramitico del cammino del vescovo di Roma, arrivato a obiettivi allora non immaginabili con i musulmani, gli apparteneva, almeno in termini di obiettivo. Così a me sembra che diventi decisivo leggere il papa di Fratelli tutti partendo da Lumen fidei e arrivando alla sua ultima enciclica. Si legge nella prima enciclica di Francesco al riguardo della fratellanza: Nella “modernità” si è cercato di costruire la fraternità universale tra gli uomini, fondandosi sulla loro uguaglianza. A poco a poco, però, abbiamo compreso che questa fraternità, privata del riferimento a un Padre comune quale suo fondamento ultimo, non riesce a sussistere. Occorre dunque tornare alla vera radice della fraternità. La storia di fede, fin dal suo inizio, è stata una storia di fraternità, anche se non priva di conflitti. Dio chiama Abramo ad uscire dalla sua terra e gli promette di fare di lui un’unica grande nazione, un grande popolo, sul quale riposa la Benedizione divina (cfr Gen 12,1-3). Nel procedere della storia della salvezza, l’uomo scopre che Dio vuol far partecipare tutti, come fratelli, all’unica benedizione, che trova la sua pienezza in Gesù, affinché tutti diventino uno. L’amore inesauribile del Padre ci viene comunicato, in Gesù, anche attraverso la presenza del fratello”. Possiamo ora rileggere all’inizio di Fratelli tutti: “ Le pagine che seguono non pretendono di riassumere la dottrina sull’amore fraterno, ma si soffermano sulla sua dimensione universale, sulla sua apertura a tutti. Consegno questa Enciclica sociale come un umile apporto alla riflessione affinché, di fronte a diversi modi attuali di eliminare o ignorare gli altri, siamo in grado di reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole. Pur avendola scritta a partire dalle mie convinzioni cristiane, che mi animano e mi nutrono, ho cercato di farlo in modo che la riflessione si apra al dialogo con tutte le persone di buona volontà”. Francesco ha avviato un processo e queste parole mi dicono che il cammino è cominciato con Lumen fidei, per andare avanti, come tutti i cammini, tutti i processi; questo verso la fratellanza universale.

Il cammino del papato di Francesco può essere visto e capito, a mio avviso, riconoscendo l’enormità del tratto di strada compiuto, ma si rischierebbe di sbagliare lettura dimenticando da dove è voluto partire. È interessante notare che per Avvenire il punto cruciale dell’enciclica è nel “recuperare il carattere di luce proprio della fede, capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo, di aiutarlo a distinguere il bene dal male, in particolare in un’epoca, come quella moderna, in cui il credere si oppone al cercare e la fede è vista come un’illusione, un salto nel vuoto che impedisce la libertà dell’uomo ”Così io giornale la presentò al momento della pubblicazione. La luce, scrisse Francesco nella sua famosa lettera a Eugenio Scalfari dopo il suo articolo proprio su Lumen fidei, “nell’intenzione del mio amato Predecessore, Benedetto XVI, che l’ha concepita e in larga misura redatta, e dal quale, con gratitudine, l’ho ereditata, è diretta non solo a confermare nella fede in Gesù Cristo coloro che in essa già si riconoscono, ma anche a suscitare un dialogo sincero e rigoroso con chi, come Lei, si definisce «un non credente da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazaret». Mi pare dunque sia senz’altro positivo, non solo per noi singolarmente ma anche per la società in cui viviamo, soffermarci a dialogare su di una realtà così importante come la fede, che si richiama alla predicazione e alla figura di Gesù.

Penso vi siano, in particolare, due circostanze che rendono oggi doveroso e prezioso questo dialogo. Esso, del resto, costituisce, come è noto, uno degli obiettivi principali del Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XXIII, e del ministero dei Papi che, ciascuno con la sua sensibilità e il suo apporto, da allora sino ad oggi hanno camminato nel solco tracciato dal Concilio. La prima circostanza — come si richiama nelle pagine iniziali dell’Enciclica — deriva dal fatto che, lungo i secoli della modernità, si è assistito a un paradosso: la fede cristiana, la cui novità e incidenza sulla vita dell’uomo sin dall’inizio sono state espresse proprio attraverso il simbolo della luce, è stata spesso bollata come il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione. Così tra la Chiesa e la cultura d’ispirazione cristiana, da una parte, e la cultura moderna d’impronta illuminista, dall’altra, si è giunti all’incomunicabilità. È venuto ormai il tempo, e il Vaticano II ne ha inaugurato appunto la stagione, di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro”. Siamo dunque, per me, davanti a un testo da capire come prima tappa ineludibile di un cammino che a ottobre, con il sinodo, troverà uno snodo decisivo, per continuare.

Riccardo Cristiano: