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Si aspettano i turisti ma occorre cambiare radicalmente l’offerta turistica italiana

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Corriamo verso giugno, ed ecco che il Presidente del Consiglio Mario Draghi annuncia ai media che il turismo in Italia va rilanciato. Certamente l’avanzamento della campagna di vaccinazione e la riduzione degli effetti pandemici, spingono il governo a fare dei passi in avanti per predisporsi a cogliere la possibilità di dare agli operatori economici piccoli e grandi dell’accoglienza importanti business. Già l’anno scorso il settore ha colto importanti successi con un numero considerevole di persone accolte nelle varie località turistiche in voga e non, che inaspettatamente si sono viste arrivare italiani da ogni parte a causa della impossibilità di recarsi all’estero come in tempi normali abbondantemente avviene.

Anche quest’anno si ci riprepara alla stessa operazione, peraltro rinnovando i bonus statali per il turismo per i meno abbienti, ma anche l’obiettivo è anche di attirare cittadini europei, datosi che già nei prossimi giorni tantissimi di essi potranno circolare liberamente, almeno coloro che avranno potuto concludere le vaccinazioni in programma. È molto facile prevedere che i traffici turistici saranno molto grandi almeno, complice lo spirito di liberazione che immancabilmente si sprigiona dopo esperienze di accentuata limitazione. Significativo della competizione con i paesi del mediterraneo ad attrarre turisti questa estate, sono state le affermazioni di Draghi al G20 con i Ministri del turismo che ha invitato tutti a fare vacanza in Italia; come a dire noi ci siamo e siamo pronti a competere nel mercato. Ed infatti la ‘carta verde’ che si annuncia sarà pronta  per metà maggio come la quarantena da rimuovere per i visitatori esteri, è la conferma che si è ben coscienti del peso che il turismo ha per la nostra economia.

Questo settore pur rappresentando in senso stretto il 13% del PIL, con il suo consistente indotto e con la capillare è vastissima rete di operatori, non è meno importante dell’industria che attualmente si attesta sul 20%. Però il nostro Paese, pur avendo grandissime potenzialità represse, sinora ha potuto contare quasi esclusivamente sulle nostre strabilianti e particolarissime bellezze paesaggistiche di mari, isole, monti e colline, sui nostri ingentissimi beni culturali e monumentali, sulla variegatissima offerta culinaria che ogni territorio vanta da secoli che neanche l’incuria potrà nel breve tempo nascondere. Come capita a chi ha molto, facilmente si adagia sulle proprie sicurezze, e non si adopera a sufficienza per custodirle e farle progredire.

Basti osservare a quello che succede riguardo ai provvedimenti per il settore. Ci si preoccupa per i ristori ( con ritardo ) ma gli investimenti per valorizzare le nostre attrazioni, non può contare ancora di un vero piano speciale  di investimenti per musei, dei siti archeologici, di bonifica dell’inquinamento dei mari, della istruzione e formazione per l’accoglienza, di miglioramento delle infrastrutture materiali ed immateriali per le località turistiche.  Insomma non si ha un piano strategico nazionale capace di scavalcare in un sol salto il groviglio che immobilizza questo settore strategico. Trasporti, ristorazione, accoglienza, arte, monumenti, non vengono visti come un tutt’uno con relative soluzioni, ma lasciate lì al ‘governo’ per caso dal groviglio scoordinato di istituzioni ed amministrazioni di ogni tipo.

Si vuole sperare che tutto ciò cambi e che tra tanta spesa che si sta programmando nel dopo COVID, oltre a bonus e ristori, si pensi anche a come poter cambiare il nostro approccio con questi fattori economici. Non è un caso che nella graduatoria mondiale dei paesi che vantano più turisti esteri, l’Italia è solo al quinto posto con quasi la metà in meno di visitatori rispetto alla Francia. È fin troppo chiaro che questo risultato mortificante è la risultante di decenni di incuria verso il settore e verso lavoratori ed imprese. Insomma possiamo recuperare il tempo perso, ma il cambiamento dovrà essere forte: meno bonus e più lungimiranza per il nostro avvenire.

Raffaele Bonanni: