Nelle sue comunicazioni programmatiche, presentate al Senato il 17 febbraio scorso, Mario Draghi aveva dato l’impressione che fosse in preparazione un netto cambiamento delle politiche del lavoro. E cioè che fosse venuto il momento di spostare – almeno in quote più adeguate e crescenti – gran parte delle risorse destinate alle politiche passive (in particolare la cig) allo sviluppo di un adeguato sistema di politiche attive. Su questa linea il fallimento dei governi precedenti (anche in ragione delle conseguenze della crisi sanitaria) è stato non solo pressoché totale, ma non è stato neppure possibile continuare lungo i percorsi innovativi, che erano stati prefigurati nel jobs act.
Il premier, infatti, aveva fortemente sottolineato l’importanza delle politiche attive: “Centrali sono le politiche attive del lavoro. Affinché esse siano immediatamente operative è necessario migliorare gli strumenti esistenti, come l’assegno di riallocazione, rafforzando le politiche di formazione dei lavoratori occupati e disoccupati. Vanno anche rafforzate le dotazioni di personale e digitali dei centri per l’impiego in accordo con le regioni. Questo progetto è già parte del Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza ma andrà anticipato da subito’’. In effetti la relativa missione contenuta nel PNRR era stata predisposta con l’obiettivo di rafforzare le politiche attive nel loro pieno significato: salvaguardare il lavoro e non un posto tenuto in vita attraverso un processo di mitridatizzazione – per il tramite degli ammortizzatori sociali – tra un lavoratore in esubero e il rapporto che lo ha legato fino ad allora all’azienda. Infatti i decreti applicativi del jobs act distinguevano con nettezza la funzione degli ammortizzatori (Cig) in costanza di rapporto di lavoro (rivolti in primo luogo ad accompagnare un crisi temporanea – anche lunga e bisognosa di riconversione e di ampliamento dei tempi di sospensione assistita sul piano del reddito – dagli ammortizzatori che intervenivano dopo la cessazione del rapporto di lavoro (Naspi, ecc.) nella fase di transizione verso un nuovo impiego grazie alle misure di politiche attive. Come annunciato Draghi il PNRR metteva la “bollinatura’’ come è rappresentato nella scheda seguente.
Scheda
La componente “Politiche per il lavoro” mira ad accompagnare la trasformazione del mercato del lavoro con adeguati strumenti che facilitino le transizioni occupazionali; a migliorare l’occupabilità dei lavoratori; a innalzare il livello delle tutele attraverso la formazione.
L’obiettivo strategico di questa componente è:
- Aumentare il tasso di occupazione, facilitando le transizioni lavorative e dotando le persone di formazione adeguata
- Ridurre il mismatch di competenze
- Aumentare quantità e qualità dei programmi di formazione dei disoccupati e dei giovani, in un contesto di investimento anche sulla formazione continua degli occupati
A tal fine si rivedono le politiche attive del lavoro a partire dall’assegno di ricollocazione, per arrivare all’istituzione di un programma nazionale («Garanzia di occupabilità dei lavoratori» – GOL), che prevede un sistema di presa in carico unico dei disoccupati e delle persone in transizione occupazionale (percettori di RdC, NASPI, CIGS). Si ridefiniscono gli strumenti di presa in carico dei disoccupati con politiche attive che, a partire dalla profilazione della persona, permettano la costruzione di percorsi personalizzati di riqualificazione delle competenze e di accompagnamento al lavoro.
Ma la prima mossa del ministro Andrea Orlando aveva un’ispirazione antica. Il titolare del Lavoro, il 29 luglio, ha presentato ai leader sindacali un documento contenente un arco di proposte sulla riforma degli ammortizzatori sociali, parecchio deludenti. Come è stato evidente nel corso della crisi da covid-19, il sistema di protezione sociale si è rivelato inadeguato e si è reso necessario il ricorso ad interventi di emergenza. Tutto ciò ha messo in luce l’esigenza di un rafforzamento delle tutele nei settori in cui non erano previsti in modo adeguato.
Ma dalla lettura del documento emerge un dubbio: si corre il rischio di rendere strutturale e permanente quanto è servito in una situazione di emergenza. In sostanza la c.d. copertura universale sostituisce la flessibilità della Cig in deroga, il cui impiego è stato di grande utilità sia nella crisi del 2008-2009 sia nei mesi devastati dal covid-19 e dalle misure di contenimento (6,4 milioni sono i lavoratori che hanno usufruito dei diversi tipi di cig). Inoltre – anche se l’istituto viene confermato nel documento – l’estensione dell’intervento pubblico scoraggia la costituzione dei fondi di solidarietà bilaterali, il cui ruolo era stato immaginato nelle precedenti riforme del mercato del lavoro, in particolare nel jobs act, proprio per dare una copertura ai settori sprovvisti di tutela. Inoltre, vi sono i sintomi di un’invasione di campo da parte degli ammortizzatori in costanza di rapporto di lavoro rispetto a quelli che intervengono dopo la sua cessazione. A segnalare questo straripamento sono le due nuove causali: prospettata cessazione dell’attività e liquidazione giudiziaria.
Mentre le causali classiche (riorganizzazione, ristrutturazione, riconversione dell’azienda) presuppongono un’impresa che avvia processi di cambiamento e risanamento, alla fine dei quali essa rimane sul mercato con la medesima identità (e quindi si giustifica la continuità del rapporto di lavoro attraverso la Cigs per quei dipendenti che non dovessero finire in esubero) nelle due nuove causali si ha a che fare con una fase di transito verso la cessazione dell’attività, che pure sta nella prospettiva accertata comunemente. Del resto il trattamento di cassa integrazione straordinaria che può essere chiesta anche per processi di transizione da parte di Pmi con meno di 15 dipendenti.
Che questo sia l’impianto della riforma (tenere, il più a lungo possibile, i lavoratori legati all’azienda accompagnandola in costanza di rapporto fino alla certificazione del suo decesso) lo si comprende osservando quanto è contenuto nel paragrafo ‘’Il connubio tra ammortizzatori sociali e politiche attive del lavoro’’. In sostanza la prospettiva sarebbe quella di avviare i processi di riconversione e formazione professionale prima di risolvere i rapporti di lavoro al riparo della cig per prospettata cessazione dell’attività e avvalendosi del programma GOL ( garanzia occupabilità nel lavoro). Sono poi previsti rafforzamenti delle tutele della disoccupazione (Naspi e Dis-Col) agendo sui meccanismi interni (rallentamento del decalage, riduzione della contribuzione necessaria per l’accesso, ecc.). Per quanto riguarda il lavoro autonomo, oltre ad applicare il programma GOL alle partite IVA che vi rinunciano, il documento punta potenziare l’istituto dell’equo compenso.