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L’amicizia come motore fondamentale per la pace

Se non troviamo pace, è perché abbiamo dimenticato che apparteniamo gli uni agli altri”, questo pensiero presente negli scritti di Madre Teresa di Calcutta può essere riferito sia ai rapporti interpersonali sia, in una visione più ampia, a quelli tra popoli e nazioni. Cancellare ogni forma di interdipendenza tra le persone e anche tra le comunità è quindi un esercizio che mina l’armonia delle società, nel nome di quell’utopia individualistica che erge l’autosufficienza, il bastare a sé stessi, ad unico obiettivo degno di essere raggiunto nelle nostre vite.

Il Meeting di Rimini, che si è concluso ieri, è tornato, anche in questa 44esima edizione farci riflettere sull’amicizia tra i popoli scegliendo come tema “L’esistenza umana è un’amicizia inesauribile”. Nel contesto del 2023, con un mondo destabilizzato, multipolare e una guerra nel cuore di quell’Europa, diventa anche più significativo mettere l’accento sull’importanza dell’amicizia come motore fondamentale per la pace.

La guerra in Ucraina ha infatti dimostrato che le crepe dell’odio possono insinuarsi e allargarsi anche tra popoli fratelli che condividono la stessa lingua, cultura, storia e tradizioni. Nel mettere in evidenza ciò che unisce e la necessità di una soluzione pacifica del conflitto oggi si rischia di cadere sotto i colpi della polarizzazione che attanaglia tutta la comunità internazionale. Di fatto non basta la netta condanna dell’invasione russa, basta infatti porre dubbi sulla fornitura delle armi o sullo stallo delle trattative che subito si viene tacciati di essere fiancheggiatori della Russia. Ovviamente le cose non vanno meglio nella Federazione Russa e tra i suoi alleati dove pacifisti e dissidenti rischiano la vita.

La frattura determinata dalla guerra in Ucraina si è riverberata su molte crisi mondiali, non ultime quelle dei Paesi africani del Sahel. Alcuni governi golpisti dell’Africa occidentale (in Niger, Mali e Burkina) hanno deciso di schierarsi apertamente con Russia e Cina, gli altri membri dell’Ecowas (Comunità economica dell’Africa Occidentale) mantengono una relazione strategica con i Paesi Nato. Anche in questo caso popoli fratelli rischiano di cominciare un conflitto in territori già martoriati da povertà estrema, terrorismo e instabilità politica. La tensione di questo nuovo scontro tra blocchi, che sembra un’edizione aggiornata della guerra fredda, si percepisce anche in Asia, dove la Cina fa la voce sempre più grossa per reclamare la sovranità sull’isola di Taiwan protetta dagli Stati Uniti, mentre Giappone e Corea Sud si riarmano per rispondere alle provocazioni militari del regime comunista della Corea del Nord.

Vale quindi la pena fare ogni sforzo nella direzione della diplomazia perché l’odio è una bestia che si alimenta con le guerre e l’amicizia richiede pace e dialogo. Molte crisi locali sparse in tutti continenti sono infatti guerre per procura tra grandi potenze che sullo sfondo hanno enormi interessi economici e lo sfruttamento delle risorse. Per comprenderlo basta parlare con qualsiasi cristiano del Medio Oriente. Un libanese, un siriano o un iracheno possono raccontarvi quali erano rapporti tra le comunità delle varie confessioni cristiane e quelle musulmane prima le guerre devastassero le loro nazioni e l’integralismo islamico (spesso importato da fuori) spazzasse via la convivenza e il rispetto reciproco.

Il carisma del cristiano è proprio quello di annaffiare e far fiorire l’amicizia anche nelle condizioni più complicate. Anche tra le persecuzioni le comunità cristiane dimostrano di poter esercitare un ruolo di collante sociale che nessun altro può rivestire. I cristiani possono affrontare le prove e sentirsi in pace nello stesso tempo, essere feriti e poco dopo tendere la mano per rinnovare l’amicizia. Per la pace nel mondo c’è anche bisogno della vera pace annunciata da Cristo.

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