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Alla resa di Conte

Il fallimento del governo giallo-verde aveva ormai un destino fissato. Si trattava solo di capire quando sarebbe arrivato: gli elettori dei rispettivi partiti lo auspicavano da tempo e, in fondo, erano consapevoli che questa alleanza non era mai stata digerita bene. La trovata del contratto con la mediazione di Giuseppe Conte sembrava un buon compromesso per favorire quel famoso e tanto prospettato “cambiamento” che i due leader rappresentavano, seppure in modi diversi. Allora, gli Italiani, stanchi e delusi dai partiti di tradizione, avevano così provato a dare fiducia a chi prometteva una reale svolta del Paese. Caldeggiati dalla longa manus di Beppe Grillo, i pentastellati erano certamente più avvantaggiati della Lega di Salvini: con la loro visione anti-casta avevano condensato tutte le simpatie del popolo avverso al sistema e, quindi, si sentivano forti e pronti a governare.

Non avevano, però, fatto bene i conti con la complessità della politica italiana e preso le giuste misure con quelle regole democratiche che, concertate nei palazzi che auspicavano di voler “aprire come una scatoletta”, hanno rappresentato le coordinate dell’esecutivo quando hanno compreso di non avere la maggioranza in Parlamento. Intanto, l’astro nascente di Salvini è riuscito nell’impresa di trasformare l’esiguo 4% della Lega in una rimonta singolare e a tratti incredibile. Il leader del Carroccio è diventato, così, un’alternativa allo stesso movimento pentastellato, iniziando a incutere un certo timore anche su Di Maio. E così, come Eteocle e Polinice, i due “fratelli d’esecutivo” hanno alzato e deposto le armi in sempre più diverse tenzoni, acuite durante le campagne elettorali.

Quella per le elezioni Europee è andata oltre ogni limite, indebolendo nei fatti un matrimonio già artefatto, ma da quel momento nei fatti insanabile: troppe le accuse, i dispetti, le cattiverie reciproche e le continue ed estenuanti polemiche su ogni singolo punto di governo. I due partiti, alleati fino a ieri, hanno così preso atto di una divergenza sempre più netta: il voto della Tav di ieri, per il Carroccio ha rappresentato la conferma definitiva di visioni discordanti. Oggi, in un gioco consumato tra i Palazzi di Roma, sembra che Salvini abbia voluto staccare la spina. C’è chi si aspettava lo facesse Di Maio, dopo la rovinosa caduta con la Tav. Proiettati su un futuro dominato dallo choc fiscale, alcuni lo avrebbero ritenuto più logico, taluni più insensato. È, tuttavia, certo che in tale marasma, Conte abbia esternato tutta la sua contrarietà alla decisione della Lega e, sforzandosi di mantenere un contegno istituzionale, non abbia potuto non palesare la forte irritazione per una scelta, a detta sua, rovinosa. C’è chi, oltre le linee “amiche”, chiama a raccolta le forze e sorride alla disfatta con incauto ottimismo. A cavallo di un altro giorno, ci si prepara a una “guerra” aperta, forse ad altri giochi dietro i quali trincerarsi. Noi speriamo, forse innocentemente, che si rispettino tutti i cittadini, o pardon, ( meglio precisare per non essere fraintesi) …. tutti gli Italiani.

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