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Aiuti di stato: quali rischi e vantaggi

In questi tempi bui, non c’è solo la preoccupazione per la salute dei nostri concittadini, ma anche quella delle nostre aziende. In particolare, per quelle che – causa covid- non riusciranno mai più a ripartire e quindi falliranno o quelle che verranno acquisite da imprese estere. Da un punto di vista aziendalistico le acquisizioni non sono un male, anzi rappresentano a volte una condizione necessaria per ripartire. Ma, quando ci sono in gioco, aziende di interesse strategico per il Paese, sia per il settore in cui operano (trasporti, sicurezza e difesa, energia) che per l’importanza che ricoprono nel tessuto industriale italiano, la questione si complica molto. Ed è principalmente per questi punti che gli aiuti di stato sono di nuovo al centro del dibattito pubblico.

Per chiarezza, ma in sintesi, gli aiuti di Stato sono una delle forme di intervento (più in generale, quelli concessi “mediante risorse dello Stato”) nell’economia sotto forma di finanziamenti, diretti come erogazione di denaro o indiretti come agevolazioni-esenzioni tributarie, a favore di imprese nazionali. Questi aiuti in linea generale sono vietati poiché distorsivi della concorrenza e del mercato. Ma, se preventivamente notificati alle autorità competenti (in EU è la Commissione europea tramite la sua DG COMP) possono essere autorizzati in determinati casi. La norma di riferimento, e quella intorno alla quale ruota l’acceso dibattito relativo al COVID-19, è l’articolo 107 comma 2 del TFUE in cui si elencano le tipologie di aiuti compatibili con il mercato comune. Tale categoria comprende “gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali”.

Infatti, la Commissione europea ha accettato ed esteso gli aiuti di stato ammissibili fino al 31 dicembre 2020, con la comunicazione COM (2020) 1863 final Temporary Framework for State aid measures to support the economy in the current COVID-19 outbreak. Tra le misure ammissibili troviamo quelle atte a garantire la liquidità e l’accesso ai finanziamenti per le imprese. In particolare, gli Stati membri sono, tra l’altro, ora autorizzati a concedere, fino al valore nominale di 800 mila euro per impresa, prestiti a tasso zero, garanzie su prestiti che coprono il 100% del rischio o fornire capitale.

Se da una parte l’intervento dello Stato nell’economia è necessario, anche alla luce del rischio acquisizioni dall’estero, dall’altro i rischi di nuovi salvataggi senza una pianificazione industriale a monte possono fare ancora più male all’economia italiana di quanto non si pensi. Poiché, finanziando imprese in crisi senza particolari analisi, si rischia di tenera in vita – inutilmente – soggetti economici in maniera completamente errata in una logica di Business Administration. Alitalia, al netto del settore strategico che ricopre, rappresenta l’esempio lampante. Discorso a parte poi meriterebbe la presenza all’interno dei CDA delle grandi aziende da parte dello Stato, che è osteggiato da una parte politica ed accademica italiana ma incoraggiata dall’altra per garantire un controllo maggiore sulle imprese salvate. Infatti, gli ultimi paletti della Commissione sono gli strumenti messi in campo per arginare distorsioni della concorrenza come: il “no” ai dividendi, acquisti di azioni proprie e bonus ai manager per le imprese che riceveranno soldi pubblici. Almeno fin quando lo Stato uscirà dall’impresa.

Aspettiamo quindi i prossimi passi della Commissione europea, che comunque ha fatto già molto discutere. In particolare, su Alitalia, dopo che la CE ha autorizzato gli aiuti per KLM e AirFrance. Poiché come detto, in parte precedentemente, Alitalia era in crisi già prima del dicembre 2019. E la Commissione ha tenuto a sottolineare che al momento quelli utilizzati come Aiuti di Stato non sono strumenti adatti per Alitalia ma non significa che non ce ne siano altri. Problematica che, inoltre, non fa affatto contenti le compagnie concorrenti di quelle di bandiera. Basti pensare a come Micheal O’leary di Ryanair si sia scagliato contro gli aiuti di Stati ad aziende come Lufthansa e AirFrance che hanno ricevuto soldi dai propri Stati nazionali. Concludendo, gli aiuti di Stato applicati in giro per la UE – al netto della necessità e rischi connessi- sono stati applicati in tempi diversi per ogni Stato membro. E paradossalmente sembra chi sia entrato nel pieno della pandemia (come la Germania o la Francia) più tardi rispetto l’Italia abbiano attuato prima di noi le misure economiche per le imprese contro il coronavirus.

Quindi sembra che – ancora una volta- il problema sia di gestione interna delle procedure nazionali e non della UE. Anche se la gestione degli aiuti di Stato dei paesi del Nord Europa potenzialmente può distorcere la concorrenza, come ha ricordato anche il vicepresidente della BCE Luis De Guindos, poiché non tutti gli Stati hanno gli stessi vincoli di bilancio. Sarebbe auspicabile quindi un maggiore coordinamento degli aiuti nazionali e per questo nelle prossime settimane si attendono dalla Commissione nuove linee guida e paletti, dato che al momento la Germania da sola ha chiesto ed ottenuto ben il 52% del totale europeo in termini reali per le sue imprese ovvero 1000 miliardi.

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