Il continente africano, oltre 30 milioni di chilometri quadrati, ha raggiunto 1,25 miliardi di abitanti nel 2019 e raddoppierà la sua popolazione nel 2050, per arrivare secondo le stime attuali nel 2100 a 4,5 miliardi di abitanti complessivi. Nella giornata mondiale dell’Africa, istituita per ricordare la nascita dell’Organizzazione dell’Unità Africana, che risale al 25 maggio 1963 e poi è divenuta nel 2002 Unione Africana, è importante partire da loro, dagli africani di oggi e presumibilmente di domani. La complessità dell’Africa è resa forse dal numero delle sue lingue: qualcuno le avrà contate. Solo nello Zimbabwe quelle ufficiali sono 16, mentre in Sudafrica sono 11. A questo riguardo è importante tenere presente che secondo le statistiche più accreditate la seconda lingua più parlata, dopo lo swahili, è l’arabo, che precede il francese. E’ una delle distinzioni più nette ed evidenti, geografica e culturale, il cosiddetto Nord Africa. Se dunque molti parlano di Afriche, non di Africa, si capisce: è un’Africa il nord arabizzato e prevalentemente desertico, poi comincia l’Africa subsahariana, con la fascia del Sahel, o “orlo” del deserto, dall’Oceano al Mar Rosso. Ben note sono anche la regione dei grandi laghi, poi più giù l’Africa australe. Se dovessimo seguitare a distinguere e citare i nomi più significativi almeno per noi, dovremmo di certo aggiungere almeno il Corno d’Africa.
E’ per questo che risulta corretto parlare delle Afriche, come molto parlano di Americhe. Eppure l’economia e le ricchezze soprattutto del sottosuolo, sembrano unire le Afriche, in una grande questione globale. Quella che ha posto anche papa Francesco nel suo recente viaggio, già a bordo del volo che lo conduceva in Congo: “C’è una cosa che dobbiamo denunciare: che l’Africa non è da sfruttare… si tengono il sottosuolo per sfruttarlo, vediamo lo sfruttamento di altri Paesi che prendono le loro risorse. Questa idea che l’Africa esista per essere sfruttata è la cosa più ingiusta che ci sia e va cambiata”. Interessante il plurale usato dal papa, perché il nuovo colonialismo non è più soltanto europeo, o statunitense. Lo vedremo. Ma il papa è tornato su questo concetto decisivo appena arrivato in Congo: “A proposito di sviluppo frenato e di ritorno al passato, è tragico che questi luoghi, e più in generale il Continente africano, soffrano ancora varie forme di sfruttamento. C’è quel motto che esce dall’inconscio di tante culture e tanta gente: “L’Africa va sfruttata”, questo è terribile! Dopo quello politico, si è scatenato infatti un “colonialismo economico”, altrettanto schiavizzante. Così questo Paese, ampiamente depredato, non riesce a beneficiare a sufficienza delle sue immense risorse: si è giunti al paradosso che i frutti della sua terra lo rendono “straniero” ai suoi abitanti. Il veleno dell’avidità ha reso i suoi diamanti insanguinati. È un dramma davanti al quale il mondo economicamente più progredito chiude spesso gli occhi, le orecchie e la bocca. Ma questo Paese e questo Continente meritano di essere rispettati e ascoltati, meritano spazio e attenzione: giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, giù le mani dall’Africa! Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare. L’Africa sia protagonista del suo destino! Il mondo faccia memoria dei disastri compiuti lungo i secoli a danno delle popolazioni locali e non dimentichi questo Paese e questo Continente. L’Africa, sorriso e speranza del mondo, conti di più: se ne parli maggiormente, abbia più peso e rappresentanza tra le Nazioni!”.
Se le guerre africane sono poco citate e spiegate, spesso si dice “dimenticate” ma sarebbe più corretto il termine “rimosse”, il citato plurale del papa, il suo riferimento ai Paesi che sfruttano l’Africa, oggi riguarda anche il nuovo colonizzatore, la Cina (sebbene siano preoccupanti anche altre presenze). Nessuno può omettere una parola di onesto e dovuto biasimo per tanti governi locali, tra i più corrotti e truffatori del mondo, dove le elezioni vengono orchestrate anche nella totale inferenza, a volte, con il voto espresso. Ma non possiamo non partire dallo stritolamento planetario dell’economia del continente africano. E’ ben nota la questione del debito, del ruolo del Fondo Monetario Internazionale nell’imposizione di politiche economiche ideologiche, dettate da migliaia di chilometri di distanza. Accanto al Fondo, un ruolo decisivo lo hanno svolto i famigerati “fondi speculativi”, che impongono tassi altissimi sul debito dei Paesi africani. Ma buona parte del debito africano ora è in mano a banche cinesi, che operano analogamente e molto spesso prevederebbero che in caso di insolvenza Pechino potrebbe rifarsi impossessandosi di asset locali. La questione sta portando al default molti Stati. Ha scritto l’ISPI proprio ai tempi del viaggio del papa in Africa: “Il 19 dicembre scorso il Ghana ha con scalpore annunciando la sua intenzione di andare in default. Non è il primo Paese africano a farlo dall’inizio della pandemia: Zambia e Mali si sono dichiarati insolventi rispettivamente nel 2020 e nel 2022: l’Etiopia, pur continuando a effettuare pagamenti sul proprio debito, ha annunciato di volerlo ristrutturare nel 2021, anno in cui anche il Ciad ha avviato simili procedure, peraltro conclusesi nel 2022. Non da ultimo, l’Angola è ricorsa a negoziazioni bilaterali per ristrutturare parte del suo debito estero nel 2020, nel pieno della pandemia”. Tra i fattori di stress è ovviamente sopraggiunta la guerra in Ucraina e le sue comprensibili conseguenze. Pesa molto anche la nuova politica monetaria mondiale, con l’aumento dei tassi d’interessi disposti dagli Stati Uniti. Le ultime statistiche dicono che il debito continentale è arrivato al 56% del PIL africano, mentre la spesa pubblica è aumentata del 2,5% e le entrate fiscali e la crescita economica sono calate del 3%. Si legge sempre nel report dell’ISPI sulle conseguenze del conflitto in Ucraina: “L’innalzamento dei prezzi degli alimentari e del petrolio hanno avuto un forte impatto sui paesi africani, nei quali i primi costituiscono da un terzo a metà del paniere di riferimento dei prezzi al consumo e il secondo comporta la calmierazione dei prezzi alla pompa e quindi l’erogazione di sussidi che aumentano la pressione sulla spesa pubblica”.
A questo quadro intercontinentale bisogna aggiungere la piaga della corruzione, che pesa sul futuro e le speranze di crescita democratica. Lo ha detto meglio di tanti altri proprio Papa Francesco nello stesso discorso congolese, quello pronunciato appena giunto: “Nella società, a oscurare la luce del bene sono spesso le tenebre dell’ingiustizia e della corruzione. Già secoli fa Sant’Agostino, che nacque in questo Continente, si chiedeva: «Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?» (De civ. Dei, IV,4). Dio è dalla parte di chi ha fame e sete di giustizia (cfr Mt 5,6). Non bisogna stancarsi di promuovere, in ogni settore, il diritto e l’equità, contrastando l’impunità e la manipolazione delle leggi e dell’informazione”.
Nei suoi discorsi troviamo una bussola politica e culturale per dare un senso a una giornata che altrimenti resterà semplice retorica: “L’educazione è fondamentale: è la via per il futuro, la strada da imboccare per raggiungere la piena libertà di questo Paese e del Continente africano. In essa è urgente investire, per preparare società che saranno consolidate solo se ben istruite, autonome solo se pienamente consapevoli delle proprie potenzialità e capaci di svilupparle con responsabilità e perseveranza. Ma tanti bambini non vanno a scuola: quanti, anziché ricevere una degna istruzione, vengono sfruttati! Troppi muoiono, sottoposti a lavori schiavizzanti nelle miniere. Non si risparmino sforzi per denunciare la piaga del lavoro minorile e porvi fine. Quante ragazze sono emarginate e violate nella loro dignità! I bambini, le fanciulle, i giovani sono il presente di speranza, sono la speranza: non permettiamo che venga cancellata, ma coltiviamola con passione!”.