In Afghanistan la minaccia contro i diritti umani fondamentali, fra i quali la libertà religiosa, non è rappresentata solo dai Talebani ma anche dall’ISKP, cioè dall’ISIS della “Provincia di Khorasan”. La formazione estremistica si è già resa protagonista in passato di innumerevoli azioni terroristiche, rivendicando fra l’altro uno dei più sanguinosi attacchi contro la minoranza Sikh sferrato all’inizio della pandemia, il 25 marzo 2020, quando tre uomini armati presero d’assalto il Guru Har Rai Gurdwara nella zona di Shor Bazar a Kabul, uccidendo 25 persone e ferendone 15.
L’ISKP continua a consolidarsi, soprattutto a seguito alla sconfitta dell’ISIS in Siria e in Iraq e dopo l’avvio dei colloqui di pace tra i Talebani e la NATO. A differenza degli stessi Talebani l’ISKP annovera nelle sue fila un numero crescente di giovani afgani istruiti e appartenenti alla classe media, ai quali si aggiungono gruppi di jihadisti esperti provenienti da al-Qaeda.
Il riconoscimento del regime talebano da parte di alcuni Paesi si teme possa inoltre favorire la proliferazione di gruppi islamici radicali, attualmente minoritari ma in grado di strutturarsi in un network terroristico potenzialmente in grado di soppiantare formazioni storiche come al-Qaeda e Stato islamico. Oltre a ciò, le relazioni fra Pakistan, organizzazioni terroristiche presenti in Palestina, nella provincia siriana di Idlib e regime afgano destano particolare preoccupazione.
La reintroduzione della sharia spazzerà via le poche libertà faticosamente conquistate, inclusa la fragilissima libertà religiosa. Sono pertanto a rischio tutti coloro che non condividono l’islamismo dei Talebani, compresi i sunniti moderati. Gli sciiti (10%), la piccola comunità cristiana e tutte le altre minoranze religiose, già gravemente minacciate, subiranno un’oppressione intollerabile.
Il cristianesimo, già prima della vittoria talebana, era visto come una religione occidentale ed estranea all’Afghanistan, Paese in cui la presenza militare delle forze internazionali ha acuito il clima di generale diffidenza nei confronti dei cristiani. L’opinione pubblica, anche prima del ritiro delle truppe NATO, era apertamente ostile nei confronti della minoranza religiosa, i cui appartenenti erano ritenuti colpevoli di fare proseliti tra i musulmani. I cristiani afgani praticavano il culto da soli, o in piccoli gruppi, esclusivamente all’interno di abitazioni private. Secondo le organizzazioni missionarie cristiane, in tutto il Paese vi erano solo piccole chiese domestiche sotterranee, ognuna delle quali non contava più di 10 membri. Questo piccolissimo gregge è ormai alla mercé di lupi privi di ogni scrupolo.
Aiuto alla Chiesa che Soffre incoraggia la comunità internazionale a far sentire la propria voce in difesa dei diritti umani di tutti i cittadini dell’Afghanistan, compresi i cristiani, gli indù, i bahai e i buddisti.
Massimiliano Tubani, Responsabile ricerca sito web Aiuto alla Chiesa che soffre