A Salerno in questi giorni si piangono le morti improvvise di 26 giovanissime donne nigeriane, recuperate ormai cadaveri congelati nel Mediterraneo dalla nave spagnola Cantabria.Sarà la Procura ad accertare perché siano annegate durante la traversata mentre altri 375 migranti siano sopravvissuti. Noi, invece, siamo chiamati a interrogarci sugli altri aspetti di questa vicenda: la loro giovane età, la loro provenienza e il motivo per il quale, in precedenza, i loro corpi fossero stati violati. Lo dobbiamo a quelle vite cancellate in un batter d'occhio e alle madri, che forse non sapranno mai quale fine abbiano fatto.
Nel 2014 l'Oim Italia ha lanciato l'allarme sull'aumento del 300% di donne provenienti dalla Nigeria sui barconi, tanto da attivare in Sicilia e Puglia due team per indentificare e intercettare le potenziali vittime della tratta di esseri umani al momento dell'approdo sulle nostre coste. Nel 2015 nel porto di Reggio Calabria il “iProgetto sbarchi” nasceva dalla collaborazione tra Arcidiocesi, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII e Prefettura.
Ancora, nel Rapporto del 2015 di Amnesty International – intitolato non a caso “Libia, un paese pieno di crudeltà” – erano stati denunciate le orribili barbarie subite da migliaia di profughi. Nel luglio del 2016, infine, la vice direttrice di Amnesty, Magdalena Mughrabi, aveva rivolto un appello all'Unione Europea affinché desse sostegno al Tribunale penale internazionale, chiamato a indagare sulle violazioni dei diritti umani, invitandola espressamente a “concentrarsi sulla messa a disposizione di percorsi legali sicuri per coloro che sono intrappolati in Libia e cercano salvezza altrove… Lo sfruttamento sessuale delle donne nigeriane trafficate infatti inizia prima di giungere in Europa”.
Nel 2014 il gruppo jihadista Boko Haram, già responsabile di numerosi attentati contro le comunità cristiane in Nigeria, ha sequestrato 276 studentesse – molte delle quali sono state liberate nel 2014 – destinate come tante ragazzine nigeriane ad essere trasformate in schiave sessuali, a essere usate come kamikaze o costrette a matrimoni forzati coi miliziani. Piccole donne costrette a sottomettersi perché non valgono nulla e sono private di ogni bene, come spiega la scrittrice nigeriana Pauline Aweto. “Non esiste una donna che abbia un progetto di vita proprio. L'uomo è colui che ha tutto e può tutto. Il corpo, quindi, non appartiene all'uomo ma alla donna”.
Mentre dalla Fondazione Migrantes è giunto in queste ore un invito alla preghiera “perché ci sia un sussulto di umanità in chi in Italia e in Europa ha il potere di cambiare”, prosegue, incessante, l'impegno di centinaia di organizzazioni del “Sistema Antitratta“, che assicurano accoglienza e protezione immediata alle potenziali vittime, molte delle quali, anche giovanissime, arrivano incinte perchè violentate da sconosciuti lungo la rotta libica.
Non vanno poi dimenticati gli sforzi della Conferenza episcopale della Nigeria che nel settembre del 2016 ha promosso ad Abuja la Conferenza internazionale “One Human Family, One Voice, No Human Trafficking”, organizzata dal Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e da Caritas Internationalis in collaborazione con le Christian Organisations Against Trafficking in Persons Network. Proprio Mons. Ignatius Ayau Kaigama, Presidente della Conferenza Episcopale della Nigeria, ha denunciato la drammatica situazione in cui versa il Paese africano. In particolare ha parlato del lento spopolamento femminile, vittime delle moderne schiavitù.
Queste 26 donne e le tante decedute durante la traversata del Sahara, nonché quelle recluse e vittime di stupri multipli nei bordelli libici o costrette a vendersi nelle nostre città, devono anche ricordare che il contrasto al traffico di esseri umani, sempre più coincidente con lo smuggling (l'immigrazione clandestina), non può restare solo appannaggio dell'operazione Eunavformed, di cui anche la nave spagnola giunta a Salerno faceva parte. Di tante giovani vite distrutte e consumate sono complici anche decine di milioni di clienti europei che continuano a richiedere sesso a pagamento con ragazze sempre più giovani. Donne provenienti dai “confini del mondo” e quindi più vulnerabili perché, dopo l'inferno vissuto nei viaggi della disperazione, diventano incapaci di gridare e di ribellarsi a chi le usa, a chi le sfrutta, a chi le schiavizza, a chi facilmente le sostituirà con altra carne fresca, se riusciranno a scappare.