In fondo il tema fa sempre effetto. Soprattutto d’estate quando sotto l’ombrellone il calcio è solo contorno e la cronaca nera non è da prima pagina. Perché in questo Paese, dove la regola delle tre esse non è mai venuta meno (sesso, soldi e sangue), c’è solo una variabile che supera tutti gli schemi: parlare di soldi tolti alla casta. E se poi nei titoli e nei dibattiti il soggetto è vitalizi il punteggio dell’interesse raddoppia, raggiungendo vette impensabili. Ed è esattamente quello che è avvenuto alla Camera con il dibattito sul provvedimento, approvato con 348 voti, che porta la firma del deputato del Pd Matteo Richetti, votato anche dagli esponenti del Movimento 5 stelle.
Una vera convergenza parallela, quella fra i dem e i pentastellati, come non si vedeva dai tempi d’oro della Balena bianca e del consociativismo, un combinato che avrà pure tenuto fermo questo Paese, ma sempre in piedi e mai in ginocchio. L’unica differenza è che questo gioco di specchi è solo e soltanto virtuale, il cui unico fine è quello di costruire una solida base dalla quale prendere il balzo per la campagna elettorale. E siccome i due maggiori partiti, almeno su alcuni temi, parlano la stessa lingua, era inevitabile che la partita non finisse cosi. Certo gli stessi parlamentari, come hanno già fatto notare gli addetti ai lavori, sono perfettamente consapevoli che i numeri del Senato sono ben diversi da quelli della Camera e la possibilità che a palazzo Madama il disegno di legge Richetti resti una bella idea è seria e concreta. Dunque, come ogni estate che si rispetti, quanto andato in scena a Montecitorio potrebbe essere soltanto una bella fiction, una grande scena madre prima delle vacanze estive.
Qualche numero può aiutare a comprendere meglio. I vitalizi in pagamento adesso riguardano 2.600 ex parlamentari per un ammontare di 230 milioni all’anno, mentre le Regioni hanno speso altri 175 milioni. Con il ricalcolo contributivo, lo Stato risparmierebbe 76 milioni all’anno per i vitalizi dei parlamentari e altri 60 per i vitalizi regionali. Insomma, qualche beneficio per i contribuenti ci sarebbe pure. Ma nel complesso, però, il tema del costo della politica viene aggredito o no? Non importa essere ragionieri dello stato per comprendere che si tratta comunque di qualcosa di parziale, di un provvedimento molto etico e poco pratico, mirato a riempire la pancia più che la testa. Insomma, molta demagogia, molta biada da dare in pasto al cavallo dell’antipolitica, sul quale galoppano le idea di coloro che vorrebbero risolvere tutto a colpi di populismo.
Il verosimile che batte il reale non sposta l’asse del problema, ma lo getta in pasto alla gente. Delle questioni centrali, quelle che rischiano di far precipitare il Paese nel burrone, parla nessuno. Farlo, forse, costa. Elettoralmente parlando sono un debito, creano un deficit di consensi. Con grande lucidità Massimo Parisi, deputato di Ala, uno dei fedelissimi di Verdini per essere chiari, ha affermato che ”la politica ha ceduto all’antipolitica, lo abbiamo fatto quando abbiamo votato l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti”, sottolinea il parlamentare, “Ma ci vuole tanto a capire che la politica costa? E se non c’è il finanziamento pubblico c’è quello privato”. Sul quale non basta interrogarsi ma occorre riflettere a lungo. Se quello di ieri è stato un grande balzo o un salto nel buio lo diranno i fatti e la storia. Non certo gli urlatori di piazza e gli agitatori di professione.