Il 30 aprile del 1975 truppe nordvietnamite e Vietcong, appoggiate da un centinaio di carri armati, dall’artiglieria pesante e anche da alcuni aerei da caccia, s’impadroniscono di tutti obiettivi strategici di Saigon. Nel Palazzo presidenziale il colonnello Bui Tin dei Vietcong riceve la capitolazione senza condizioni del generale sudvietnamita Dương Văn Minh, da pochi giorni Presidente della Repubblica del Vietnam del Sud. Saigon è ribattezzata Ho Chi Mihn Ville. Quasi in contemporanea i Kmer Rossi entrano vittoriosi in Phnom Penh e i Pathet Lao occupano Vientiane. È la fine della Guerra del Vietnam: tre milioni di vittime, un numero anche più elevato di feriti e invalidi, in gran parte civili, donne e bambini; milioni di sfollati, distruzioni d’interi paesi e distretti agricoli; danni ambientali incalcolabili di lunga durata per l’uso sistematico e massiccio, durante i bombardamenti, di defolianti che hanno creato, per decenni, malattie genetiche.
Gli Stati Uniti, che dal luglio del 1973, avevano, per deliberazione del Congresso, avviato il proprio disimpegno in Indocina, subiscono la prima sconfitta militare della loro storia non solo per la perdita di sessanta mila morti e ben centomila mutilati nel corpo e nell’anima come hanno raccontato molti film, tra i quali “Nato il 4 di luglio” di Oliver Stone. La capitolazione senza condizioni accettata imposta dall’ultimo presidente del paese subalterno alleato degli Stati Uniti è, in fondo, la riproposizione rovesciata dell’Unconditional Surrender imposta dagli Stati Uniti ai paesi sconfitti dell’Asse alla fine della Seconda guerra mondiale.
Proviamo a riassumere la storia del Vietnam che, nel secolo scorso, è stato il punto di confluenza di due dinamiche globali: quella della decolonizzazione, da un lato, e quella della guerra fredda, dall’altro. Alle istanze nazionaliste dei popoli un tempo sotto dominio coloniale si è andato rapidamente sovrapponendo il crescente conflitto politico e ideologico tra i due blocchi internazionali, di matrice statunitense e sovietica. Il Vietnam nella seconda metà dell’Ottocento fu progressivamente conquistato dai Francesi e nel 1887 divenne parte dell’Indocina francese. Nel primo Novecento si sviluppa un forte movimento nazionalista che, nel 1941, si struttura nella Lega per l’indipendenza del Vietnam (Viet-minh), fondata sull’alleanza fra i nazionalisti e i comunisti guidati da Ho Chi Minh e Võ Nguyên Giáp.
Nel frattempo, il Vietnam, come gran parte della Cina, tutto il Sudest Asiatico e i grandi arcipelaghi dell’Indonesia e delle Filippine, sono stati occupati dal Giappone. Le truppe coloniali francesi si arrendono senza quasi combattere, mentre il Viet-minh organizza una forte resistenza. Nel marzo 1945 i Giapponesi, ormai avviati alla sconfitta nel colossale scontro con gli Americani, riconobbero l’indipendenza del Vietnam, sotto la sovranità, quanto mai effimera, dell’imperatore Bao Dai. Grazie anche a un’insurrezione contadina del Nord del paese, il Viet-minh conquista Hanoi nell’agosto 1945 e dopo la resa del Giappone e l’abdicazione di Bao Dai, si giunge alla proclamazione della Repubblica democratica del Vietnam con Ho Chi Minh presidente. I Francesi della IV Repubblica, pur nata dalla resistenza contro l’occupazione nazista, non si rassegnano a perdere la colonia d’oriente nella quale avevano maggiormente investito in infrastrutture e anche emozioni, com’è magistralmente descritto nel bellissimo romanzo, “L’amante” di Marguerite Duras, dal quale è stato tratto il film omonimo di Jean Jacques Annaud, del 1992. Dalla fine del 1946 la Francia tenta di rioccupare il paese e dà vita, nel 1949, subisce, nel 1954, la sconfitta di Dien Bien Phu, evento anche simbolico della crisi del dominio coloniale, che contribuì non poco a creare il mito strategico del generale Giap e dei contadini-soldati vietnamiti.
Seguono, nel 1954, gli Accordi di Ginevra, che dividono temporaneamente il Vietnam in due Stati al 17° parallelo, con l’impegno che non sarà mai mantenuto di libere elezioni per la sua riunificazione. Il Vietnam del Nord, con il riconoscimento e il sostegno della Cina e dell’Unione Sovietica, si struttura come regime comunista, mentre il Vietnam de Sud, a differenza di quello del Nord, è sempre connotato da instabilità e corruzione diffusa, anche quando, Ngô-Dinh-Diem depone l’imperatore Bao Dai e proclamò la Repubblica, legandosi sempre più agli Stati Uniti. Nel 1960 si forma un ampio schieramento di opposizione, il Fronte di liberazione nazionale (FLN), che riprende anche nel nome esperienza della Resistenza europea, nel quale assumono progressivamente un ruolo preminente i comunisti, appoggiati dal Vietnam del Nord e con un crescente sostegno popolare: diventano internazionalmente noti come Vietcong. Sempre a partire dal 1960, in aggiunta agli aiuti finanziari gli USA inviano equipaggiamento e consiglieri militari, senza che questo diminuisca la presenza e l’influenza nel paese del FLN. Nel 1963 il regime autoritario e corrotto di Diem è rovesciato da un colpo di Stato militare e, dopo un periodo d’instabilità, nel 1965 s’insedia al potere una giunta presieduta da Nguyên-Van-Thiêu.
Nello stesso anno gli USA iniziano massicci bombardamenti nel Vietnam del Nord, giustificati dai cosiddetti “Incidenti del Tonchino”, che oggi sappiamo essere stati un pretesto propagandistico. Alla metà degli anni Sessanta il contingente americano inviato in Vietnam raggiunge gli oltre cinquecentomila effettivi con un dispiegamento di carri armati, aerei ed elicotteri impressionante. La permanenza dei soldati in Vietnam è di breve durata e questo comporta che milioni di giovani americani sono coinvolti nella “sporca guerra”, essendo stata reintrodotta la coscrizione obbligatoria, pur con episodi isolati, ma di grande impatto mediatico, di renitenza alla leva, come quello del campione del mondo dei pesi massimi, Cassius Clay-Muhammad Alì. Nel gennaio 1968 i nordvietnamiti lanciano un’offensiva generalizzata che spinge l’amministrazione statunitense a riconsiderare i termini del proprio coinvolgimento. Washington avviò una graduale diminuzione delle forze presenti nel Vietnam, mentre a Parigi iniziano colloqui di pace. Ciononostante, negli anni successivi il conflitto conobbe un’ulteriore intensificazione raggiungendo il Laos e la Cambogia; nel corso del 1972 i bombardamenti statunitensi sul Nord riprendono con rinnovata violenza. Un accordo per il cessate il fuoco è infine firmato nel gennaio 1973.
Rinvio al libro, “La guerra del Vietnam”, pubblicato da Il Mulino nel 2020, di Mitchell K. Hall. È uno studioso americano, specialista di studi di pace e guerra, che è stato anche presidente della “Peace History Society”. Per Hall, che ricostruisce sia gli avvenimenti militari sia le dinamiche del contesto internazionale dell’intervento americano e le ripercussioni interne agli Stati Uniti, lo scontro fra il Golia americano e il Davide vietnamita fu un drammatico banco di prova per gli equilibri del mondo bipolare e per l’opinione pubblica occidentale. Un altro storico, il tedesco Marc Frey, nel libro “Storia della Guerra del Vietnam”, pubblicato da Einaudi, dà grande rilievo alle vicende interne degli Usa legate alla guerra e ai loro effetti sul lungo periodo: il movimento pacifista e le lotte studentesche, lo sviluppo della controcultura, la loro influenza sulla pubblica opinione.
La Guerra del Vietnam è stata, infatti, anche un’esemplare guerra mediatica: giornalisti, reporter e fotografi americani e occidentali, sono sempre presenti a ridosso delle operazioni militari. Personalità del cinema e della musica sono impegnate contro la guerra: l’attrice Jane Fonda si reca anche nel Nord Vietnam in compagnia della cantante Joan Baez, già in precedenza fortemente impegnata contro la coscrizione negli Stati Uniti. In forma altrettanto convinta compone e canta contro la guerra Bob Dylan. Nella primavera del 1971 il movimento pacifista negli Stati Uniti diventa molto ampio e una parte maggioritaria della popolazione sviluppa un sentimento di stanchezza e anche di disgusto verso la “sporca guerra” che sembra non finire più.
La Guerra del Vietnam ha rappresentato uno spartiacque decisivo nell’opposizione alla guerra della generazione del Sessantotto. Nel corso del biennio 1967-68, infatti, accanto alle contestazioni della selezione di classe nella scuola e nell’accesso all’università, recependo la lezione di “Lettera a una professoressa” di don Lorenzo Milani, nonché dei programmi scolastici tradizionali, il Vietnam che resiste e che, alla fine, è vittorioso, può giustamente essere considerato come il vero catalizzatore dei movimenti giovanili di protesta e proposta che investono i paesi occidentali dall’America, all’Europa, fino al Giappone.