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Il 2025, tra pizie e cassandre

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Foto di Mathieu Stern su Unsplash

Fare una previsione economica per l’anno a venire, già in una situazione lineare, non è facile per via delle molte variabili in gioco, quando, poi, un periodo si chiude in una situazione piena di incognite, come quella che stiamo vivendo, diventa un esercizio piuttosto arduo anche se, a tutti gli effetti, piuttosto stimolante.

Il 2023 si sta chiudendo, infatti, con uno scenario molto particolare con due scenari bellici aperti e non privi di incertezza, una crisi economica in Europa strisciante che, al momento, si è esplicitata soprattutto sul settore automobilistico, l’Asia che non si capisce bene che direzione voglia prendere e gli USA alla vigilia di un cambio di amministrazione che potrebbe essere dirompente.

Nel frattempo, le conseguenze della stretta monetaria sui due lati dell’Atlantico sta mostrando il suo effetto, anche se speculare: mentre in America la produzione di ricchezza sta correndo, con l’ultimo outlook sul Q4 rivisto al rialzo, nel Vecchio Continente la situazione è più problematica con la produzione industriale in calo già da diversi medi così come gli indici di fiducia di consumatori e imprese.

È evidente che questa situazione sia trainata dalle difficoltà della Germania, che rappresenta il primo polo industriale europeo, e dalla situazione peculiare dell’Italia, che ne è il secondo ed è, credibilmente, figlia del calo di consumi e investimenti dovuto alla miope politica monetaria della Banca Centrale unita, almeno per l’Italia, dalla strutturale perdita di potere d’acquisto dei salari che si protrae da circa tre decenni e che aveva visto sia i consumi sia gli investimenti dipendere sempre di più dal credito bancario oggi ancora fin troppo costoso per compensare la regressione reddituale delle famiglie.

Non è un caso che, finito l’acceleratore della ripresa post pandemica e con l’intervento pubblico falcidiato dal peso dei bonus edilizi varati durante il secondo governo Conte – i quali, non è un mistero, hanno creato un buco di bilancio tale da pesare per diversi anni sui conti dello stato, rendendo più difficoltosi sia gli investimenti sia le riforme che questa terra aspetta da tempo – nonostante l’allentamento da parte della BCE l’economia nazionale risulti nuovamente asfittica, con una crescita che ha ricominciato a porsi nella parte bassa della graduatoria continentale.

ISTAT ha, infatti, dimezzato le stime di crescita portandole a un +0,5% anche se fonti meno pessimistiche le pongano ancora intorno a un +0,8%, assolutamente insufficienti per permettere manovre riformistiche di ampio respiro e costringendo, ancora, il Governo alla ricerca spasmodica di fondi per poter coprire le varie voci di spesa e proseguire i progetti già varati.

Come è facile immaginare, di fronte a queste premesse, il 2025 non si apre sotto i migliori auspici ma, forse, qualche spiraglio di luce comincia a intravvedersi e il tunnel potrebbe essere meno lungo di quanto poteva prefigurarsi solo qualche settimana fa.

Come si diceva il 2024, nonostante sia andato meglio del previsto, viste le criticità con sui si era aperto, ha visto in Italia una lieve contrazione degli investimenti seppur sostenuti dal notevole apporto dei progetti finanziati tramite PNRR che significa, come logico, che siano stati gli investimenti privati a trovarsi penalizzati dal costo eccessivo del credito che è un fattore che, probabilmente, accompagnerà anche l’evoluzione dello scenario della Penisola almeno nella prima metà del prossimo anno, prima che il livello dei tassi di interessi raggiunga la neutralità.

Questo andamento è una perfetta immagine della vera debolezza del sistema italiano fatto di troppe microaziende poco capitalizzate e, quindi, totalmente dipendenti dal settore del credito non solo per gli investimenti innovativi; infatti, molte si trovano ancora in ritardo con il processo di digitalizzazione e di svecchiamento delle linee produttive, sia che esse siano aziende manifatturiere sia che si tratti di aziende di servizi. Il nanismo tipico della gran parte del segmento produttivo rende assai vulnerabile l’economia dal lato degli shock esogeni che questi vengano da una modificazione della domanda lato mercato sia che vengano dal lato del rifinanziamento, non potendo contare su un patrimonio sufficiente a far fronte alle esigenze, questo crea una situazione molto delicata in fasi non solo recessive ma anche solo di stagnazione poiché i costi di accesso al credito diventano estremamente pesanti sui bilanci sottraendo risorse che dovrebbero essere indirizzate alla maggior produttività e alla crescita dell’azienda.

In risposta a questo, però, il 2024 ha riscontrato un certo dinamismo dal lato degli M&A che il report di EY indica in circa 1’300 operazioni nel corso dell’anno che ancora si deve concludere che mostra come l’esigenza di un consolidamento e di una crescita anche dimensionale delle aziende, per innescare economie di scala e aumentare l’efficienza interna per competere su un mercato che diventa sempre più globale, comincia a essere percepita anche dalla classe imprenditoriale italiana.

Non è un caso che sempre lo stesso rapporto indichi un moderato ottimismo per l’anno futuro, tra gli amministratori delle aziende sia sulla possibile crescita dei ricavi sia sulla profittabilità d’impresa pur scontando la consapevolezza di un contesto globale in evoluzione non del tutto prevedibile, tra tensioni commerciali e conflitti.

A questo, poi, va aggiunto il potenziale buon rapporto che il governo italiano sta intessendo con gli USA che potrebbe aprire nuove opportunità con sia verso il mercato americano per le aziende Italia sia per attrarre nuovi investimenti in Italia che vedrebbero come capofila Microsoft e Blackrock nel settore IT, senza considerare i rumors per le mire di Elon Musk per nuove prospettive proprio sul Bel Paese.

Diciamo, quindi, che se il 2025 rappresenta una vero punto di domanda vista anche la situazione di partner strategici come la Germania, che sta scontano con una crisi che sembra peggiorare giorno dopo giorno i magheggi dei decenni passati per mantenere lo status di “locomotiva d’Europa”, non certo priva di elementi che suonano come campanelli d’allarme, tra la finanza pubblica e la debolezza, come già si diceva, del tessuto economico fatto prevalentemente di microimprese poco solide e dalla produttività non entusiasmante, diciamo, qualche spiraglio di luce lo si intravede e, forse, potrebbe essere la via per un nuovo rilancio del Paese sempre che il gioco degli interessi contrapposti, che diventa palese ogni volta che si redige una manovra economica, non vada a bloccare ogni tentativo di fuga dall’impasse in cui il Paese si è trovato in questo secondo trimestre.

Matteo Gianola: