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13 marzo 2013: dieci anni di ciclone Bergoglio

Il 13 marzo 2013 lo ricorderò sempre, con meticolosa accuratezza, fino ai dettagli. Ovviamente a partire da quella allocuzione, quel “buona sera”, quel riferimento ai suoi fratelli cardinali riuniti per eleggere, “voi sapete…”, il vescovo di Roma e poi quell’inchino, il pregare l’uno per l’altro, la fratellanza, la “grande fratellanza”. Ma non è quella sera che voglio ricordare nel decimo anniversario di questo pontificato. Voglio invece accennare alla mia ricerca del motivo per cui ho avvertito quella sera e seguitato ad avvertire i giorni e i mesi successivi di Francesco come un ciclone che mi riguardava. Perché? Cosa ho percepito allora e cosa ho capito con il tempo? Sono arrivato al punto per caso un giorno del 2015, quando ho cominciato a leggere un bel libro di Jorge Mario Bergoglio pubblicato da Sant’Egidio e intitolato: “Uno sguardo su Cuba. L’inizio del dialogo”. Leggendo ho capito, finalmente, dopo due anni di ricerca. Grazie a questo librino ho avuto la certezza che lui è un vero pluralista. C’è un paragrafo infatti nel volume che si intitola “il pluralismo come riflesso dell’immensità di Dio”.

Io, se devo definirmi culturalmente, politicamente, umanamente, mi definisco un pluralista, ormai da molti anni: e definendomi così mi rendo conto di quanto tutto ciò che ci circonda, dal liberismo al fondamentalismo, dal sovranismo al populismo, dal nazionalismo all’antagonismo, tutto sia fuorché pluralista. Il pluralismo ovviamente è l’opposto di ogni forma di monismo, cioè tutti quei diversi o anche opposti pensieri che riducono la pluralità degli esseri umani a un unico principio. Ma il pluralismo oggi è soprattutto l’opposto di questo individualismo liberista, quello che secondo il grande intellettuale globale Tony Judt ci ha portato a questo: “Abbiamo trasformato in virtù il perseguimento dell’interesse materiale personale: anzi, ormai questo è l’unico scopo collettivo che ci rimane”. A pensarci bene questo tipo di individualismo è l’ultimo monismo, come fa capire Judt. E il pluralismo? Il pluralismo riparte dal Vaticano, o, almeno per me, per essere più accurati, da Casa Santa Marta.

Scriveva Bergoglio, prima di diventare Francesco, nel libro che ho citato: “Il pluralismo è forse una delle principali caratteristiche della Chiesa, dato che l’accettazione e il rispetto per l’altro, per il diverso, è un principio cardinale della dottrina cristiana. Tutti siamo figli di Dio, creati da lui a sua immagine e somiglianza. Pertanto ciascuno di noi custodisce una parte della grandezza del Signore; ma soltanto nel ricongiungimento delle ricche diversità dell’uomo si può esprimere questa grandezza”.

A questo punto mi ha sorpreso molto di meno, o per meglio dire non mi ha sorpreso proprio, che il paragrafo successivo si intitoli: “Il presente, tempo degli umanesimi”. Gli umanesimi… Questa radice che unisce tante culture diverse non può essere capita, apprezzata e valorizzata se non si è profondamente pluralisti. Per questo, pur sapendomi figlio di qualcuno dei diversi umanesimi che esistono, è il pluralismo di Bergoglio e poi di Francesco che mi ha rapito. Mi sono anche chiesto, rileggendo questa sua pagina: “ma il suo pluralismo è solo nella Chiesa?”. Sapevo che era anche così ma che non era soltanto così, altrimenti non avrebbe potuto definire questo nostro tempo come il tempo “degli umanesimi”. Ma la conferma ufficiale, firmata, l’ho avuta quando Bergoglio era addirittura diventato Francesco.

Lui ha indicato il pluralismo come via divina anche da papa. E’ scritto infatti nel Documento sulla Fratellanza Umana che Francesco ha firmato ad Abu Dhabi con il grande Imam dell’Università islamica di al-Azhar, lo sceicco al Tayyib: “Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano”. Sono tanti i motivi per cui ho trovato questo capoverso decisivo, come quei testi di cui a scuola ci dicevano “questo va imparato a memoria”. La storia dei semi di verità di cui parlò il Concilio Vaticano II è nota. E nel suo cruciale, decisivo solco, per la Chiesa e tutta l’umanità, Francesco ha saputo porsi arrivando sin qui, consentendo all’imam al Tayyib di fare altrettanto e farci riscoprire e apprezzare la natura pluralista dello stesso islam, una fede così deturpata da alcune teologie da apparire la meno pluralista del mondo, mentre un suo dotto, il professor Sammak, intervenuto a ben due sinodi a nome del suo islam sunnita, lo definisce “la religione che crede in tutte le religioni”.

Ma come è possibile capire per il nostro mondo, “democratico” ma ciò nonostante non pluralista nelle sue tendenze più forti? Io penso che solo quella frase del suo libretto sul viaggio di Giovanni Paolo II a Cuba aiuti a capire: “Il pluralismo come riflesso dell’immensità di Dio”. Quando è uscita l’enciclica “Fratelli tutti” ho sentito che la vera notizia, la vera novità che spicca, è quel malcelato rammarico per la mancata comprensione dell’enormità per questo nostro mondo fratturato proprio della convergenza con l’imam. Abbiamo capito cosa ha firmato con lui e quindi anche grazie a lui, la massima autorità teologica dell’islam sunnita? Scrive Francesco in Fratelli tutti, già al numero 5, che è come dire subito, all’inizio: “Le questioni legate alla fraternità e all’amicizia sociale sono sempre state tra le mie preoccupazioni. Negli ultimi anni ho fatto riferimento ad esse più volte e in diversi luoghi. Ho voluto raccogliere in questa Enciclica molti di tali interventi collocandoli in un contesto più ampio di riflessione. Inoltre, se nella redazione della Lardato si’ ho avuto una fonte di ispirazione nel mio fratello Bartolomeo, il Patriarca ortodosso che ha proposto con molta forza la cura del creato, in questo caso mi sono sentito stimolato in modo speciale dal Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, con il quale mi sono incontrato ad Abu Dhabi per ricordare che Dio «ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro». Non si è trattato di un mero atto diplomatico, bensì di una riflessione compiuta nel dialogo e di un impegno congiunto. Questa Enciclica raccoglie e sviluppa grandi temi esposti in quel Documento che abbiamo firmato insieme”.

Straordinario, tanto che – ne sono certo – se il mio amico e maestro padre Paolo Dall’Oglio avesse potuto leggere che il papa ha scritto che la sua enciclica “raccoglie e sviluppa grandi temi esposti” in un documento firmato congiuntamente con il grande imam di al-Azhar si sarebbe messo a piangere per la gioia. Ma il ciclone Bergoglio per me è proseguito, come quando ho letto nella raccolta delle sue omelie e dei suoi discorsi argentini curata da padre Antonio Spadaro queste parole: “Le opposizioni aiutano. La vita umana è strutturata in forma oppositiva. Ed è quello che succede adesso anche nella Chiesa. Le tensioni non vanno necessariamente risolte e omologate, non sono come le contraddizioni”.  E’ l’opposizione polare, in cui i due poli non si annullano, e le opposizioni polari si risolvono in un piano superiore, consapevoli però che in quella soluzione rimane la tensione polare.

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