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“Uno sguardo da dentro”, la fotografia che aiuta i detenuti

Il valore della prossimità e della formazione nei confronti dei detenuti spiegata a Interris.it in occasione dell'imminente apertura della Porta Santa dal dott. Andrea Donegà, direttore delle sedi Enaip di Lecco, Monticello Brianza e Morbegno, e fautore del progetto “Uno sguardo da dentro”

Nel giorno di Santo Stefano, Papa Francesco aprirà la Porta Santa nel carcere romano di Rebibbia, dando inizio a un evento unico nella storia. Interris.it, in merito al significato simbolico di questo momento e al valore dell’inclusione dei detenuti, ha intervistato il dott. Andrea Donegà, direttore dei presidi scolastici Enaip di Morbegno e Lecco, tra i fautori del progetto “Uno sguardo dentro“.

Il dott. Andrea Donegà (@ Andrea Donegà)

L’intervista

Dott. Donegà, che obiettivi ha “Uno sguardo da dentro”?

“Enaip è attivo anche sul fronte della formazione e degli interventi di inclusione in carcere in tutto il territorio lombardo. A Morbegno, area di mia competenza, abbiamo già svolto diversi corsi: uno di fotografia sul tema dei tatuaggi e delle storie impresse sulla pelle; un corso sulle tecniche di tinteggiatura, che abbiamo proposto anche nel carcere di Lecco, e uno sui lavori di manutenzione, arrivando anche a certificare le competenze dei partecipanti. C’è poi questo bellissimo progetto, sempre sulla fotografia, chiamato ‘Uno sguardo da dentro’, finanziato dalla Fondazione Pro Valtellina e tenuto da Domiziano Lisignoli, fotografo professionista e docente Enaip. Questa progettualità nasce dalla volontà di raccontare la quotidianità della vita in carcere, una realtà che tutti dovrebbero conoscere perché è parte delle nostre comunità. Raccontare il carcere e portarlo fuori significa farlo raccontare a chi lo vive.  Lo sguardo delle persone detenute sulla sa cogliere attimi e particolari che sfuggono a un estraneo che osserva con lenti appannate dal pregiudizio e dall’immaginazione. Il loro sguardo, invece, arriva dritto alla quotidianità, illuminando particolari che ci interrogano perché colgono i sentimenti della vita vissuta che, ora, è fissata in quelle bellissime fotografie e deve diventare popolare, cioè di tutti.”

“Uno sguardo da dentro” (@ per gentile concessione)

In che modo, attraverso la fotografia, si può creare inclusione nei confronti delle persone in carcere?

Questa mostra è un’esperienza da vivere perché dietro ogni quadro ci sono le storie delle persone. Ha una grande valenza civica che ci insegna che il carcere deve essere un luogo dove scontare la pena ma, soprattutto, dove esercitare il diritto di immaginare un futuro possibile che è ciò alimenta la speranza che tiene viva la persona, ovunque si trovi, consentendole di riconciliarsi con la società e preparandosi a farvi rientro a pieno titolo. Ecco, fare tutto ciò con dei corsi professionalizzanti che possano dare la possibilità alle persone di acquisire delle competenze da spendere nel mondo del lavoro sono l’onere e l’onore che vogliamo assumerci. La formazione assume un grande valore pedagogico e sociale diventando la chiave per trovare un lavoro, condizione necessaria per riprendersi in mano la propria vita e abbattere la recidiva.

Quali sono i vostri desideri per il futuro di queste attività?

“Stiamo già immaginando diversi progetti da realizzare anche con altri soggetti che condividono con noi questi orizzonti. Abbiamo la fortuna di aver incontrato Direttori, operatori e Comandanti della Polizia Penitenziaria e funzionari giuridici pedagogici molto disponibili e professionali. Partendo dal carcere si può costruire un futuro fatto di inclusione e prossimità ed è una palestra dove imparare a organizzare speranza. Le esperienze come questa sono dei momenti di crescita non solo professionale ma soprattutto umana che scaldano il cuore e fanno riscoprire la bellezza della gratuità delle relazioni.”

Il 26 dicembre, Papa Francesco, aprirà la Porta Santa a Rebibbia. Che significato assume questo momento?

Papa
Foto © Samantha Zucchi/Insidefoto/Image

“Un’iniziativa dal valore simbolico molto forte. È la bellezza dell’idea di avere un Giubileo, come ci ricorda don Virginio Colmegna, in cui la Chiesa, aprendo altre porte che non sono meno sante di quelle di San Pietro, ci insegna l’importanza di spalancare varchi in cui le opere di misericordia siano sperimentate come possibilità concreta di una nuova realtà. In fondo, se ci pensiamo bene, è un po’ l’eredità di Franco Basaglia, del quale quest’anno ricorre il centenario della nascita: la deistituzionalizzazione è la capacità di saper mettere in discussione l’istituzione ogni volta che la creiamo, aprendola e rimettendola al mondo, impedendole di diventare un luogo chiuso di contenimento. Uno straordinario parallelismo con il concetto di carità che contiene, in sé, l’idea di quel futuro capace di far fiorire le persone e portare speranza anche dove sembra non esserci.”

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