“Con l’ascesa al potere dei Talebani, le donne in Afghanistan vivono una condizione di vera e propria apartheid di genere. In tre anni e mezzo, dal golpe del 15 agosto 2021, hanno perso anche i diritti più inviolabili: non possono lavorare, non possono studiare e sono praticamente segregate in casa. L’ultimo decreto impedisce loro di studiare tutte le materie sanitarie, come ostetricia e medicina. Questo significa che, in futuro, le donne non avranno più accesso alla sanità, perché possono essere curate da un medico uomo solo se accompagnate da un tutore. In pratica, in Afghanistan, si sta compiendo un femminicidio di massa”. E’ la dura testimonianza a Interris.it di Silvia Redigolo, responsabile della comunicazione di Fondazione Pangea ETS, organizzazione no profit che dal 2002 lavora per favorire lo sviluppo economico e sociale delle donne nel mondo, delle loro famiglie e delle comunità circostanti. Con una speciale attenzione per le donne afghane, ma senza tralasciare i bisogni delle donne vittime di violenza in Italia. Perché, come recita lo slogan Pangea, “La vita riparte da una donna”.
L’intervista a Silvia Redigolo di Pangea
Può presentarci il progetto Afghanistan e spiegarci in cosa consiste?
“Certamente. L’Italia, l’Afghanistan e l’India sono i Paesi dove oggi lavora Fondazione Pangea ETS. Paesi lontani e diversi, tuttavia accomunati dalla fragilità e dalla debolezza in cui si trovano a nascere e vivere le donne. Il progetto Afghanistan si concentra su diverse attività. Innanzitutto, ci occupiamo di sostenere le famiglie in cui le donne sono a capo del nucleo familiare e di tutelare le bambine che si trovano in condizioni di estrema vulnerabilità. Cerchiamo di rispondere alle necessità quotidiane di queste famiglie e, allo stesso tempo, promuoviamo progetti educativi e formativi per costruire un’economia più solida e autonoma per loro. Abbiamo anche avviato una scuola per bambini e ragazzi sordi a Kabul. Purtroppo i talebani hanno proibito alle ragazze maggiori di 12 anni di frequentare la scuola e per questo continuano a frequentarla solo le bambine sorde dai 3 ai 12 anni e i maschi sordi dai 3 ai 18 anni. Grazie al Progetto Jamila, Pangea ha coinvolto negli anni più di 7.000 donne. L’obiettivo è quello di garantire alle donne e alle ragazze gli strumenti per costruirsi un futuro migliore”.
In quale zone operate?
“Preferiamo non entrare troppo nei dettagli, ma posso dire che siamo presenti in diverse aree strategiche del Paese, tra cui Kabul; e in altre, in cui la situazione delle donne è particolarmente critica”.
Com’è cambiata la situazione in Afghanistan con il ritorno al potere dei talebani?
“La situazione è cambiata moltissimo, e purtroppo in peggio. Le donne hanno perso quasi tutti i loro diritti fondamentali. Donne che, prima del ritorno dei talebani, erano imprenditrici, professioniste e in alcuni casi anche figure politiche di rilievo. Hanno piena consapevolezza di cosa stanno perdendo sul fronte dei diritti e della libertà, e continuano a resistere con tutte le loro forze. Tuttavia, il problema dell’Afghanistan non riguarda solo la stabilità politica e la repressione del regime talebano, ma anche il disinteresse della comunità internazionale”.
In che modo il disinteresse della comunità internazionale influisce sulla situazione?
“Il fatto che la comunità internazionale abbia distolto l’attenzione dall’Afghanistan ha un effetto devastante. I talebani ne sono consapevoli e, approfittando di questa ‘invisibilità’, continuano a emanare decreti sempre più restrittivi contro le donne. Sanno di poterlo fare senza conseguenze, perché non c’è più un’attenzione mediatica costante e la pressione diplomatica internazionale è scarsa o nulla”.
Quali iniziative promuove Pangea per sostenere i progetti all’estero e in Italia?
“In questi giorni stiamo lanciando una raccolta fondi attraverso la campagna ‘Da ogni piccolo gesto nasce la magia’. L’idea di fondo è che, sebbene spesso ci sentiamo impotenti di fronte ai grandi problemi del mondo, possiamo comunque fare la differenza con piccoli gesti concreti. Vogliamo trasmettere l’idea che anche le azioni più piccole possono portare a cambiamenti reali e tangibili per le donne e le famiglie afghane che sosteniamo. Per far sentire loro che il loro grido di aiuto non cade nel vuoto”.