Il contrasto alla camorra rappresenta una delle sfide più urgenti e complesse per la società italiana. Essa è una delle principali organizzazioni criminali italiane, radicata soprattutto in Campania, ma capace di operare sull’intero territorio nazionale, e ha un impatto devastante su molteplici aspetti della vita sociale, economica e politica.
Le azioni di contrasto
Il contrasto alla camorra, quindi, deve essere portato avanti su più fronti: giudiziario, attraverso l’azione delle forze dell’ordine e della magistratura; educativo, con iniziative volte a sensibilizzare i giovani e a fornire alternative alla criminalità; e sociale, con la promozione di progetti che favoriscano l’integrazione e la legalità. Interris.it, in merito a questo tema, ha intervistato il generale di corpo d’armata (ris) dei Carabinieri Carmelo Burgio il quale, nella sua prestigiosa carriera, ha rivestito anche l’incarico di comandante provinciale dei Carabinieri di Caserta. Egli è inoltre autore del libro intitolato “Guerra alla camorra”, edito da Vallecchi e da pochi giorni nelle librerie, con prefazione di Giovanni Nistri, già Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri.

L’intervista
Generale Burgio, quali sono gli aspetti che ricorda con maggiore gratitudine del suo periodo di comandante provinciale dei Carabinieri a Caserta?
“Ricordo, con grande gratitudine, il senso del dovere e il sostegno di tutti i Carabinieri di quel comando. Un comandante provinciale, in ogni sede, svolge tre, quattro o, nel mio caso, massimo cinque anni di servizio ma, invece, molti sottufficiali, appuntati e carabinieri, per diversi motivi, svolgono 25 – 30 anni di servizio in una sede che, dal punto di vista della presenza della criminalità organizzata, era considerata una delle più degradate. Nonostante questo, hanno la voglia di impegnarsi e di operare al meglio per garantire la sicurezza di tutti”.
Quali sono state le operazioni di maggiore rilievo contro la camorra di quel periodo?
“L’attività dei Carabinieri a Caserta nei cinque anni del mio comando è stata contrassegnata da diverse operazioni. Quella di più grande impatto mediatico è stata la cattura di Giuseppe Setola, un killer che era stato messo in libertà grazie a una serie di connivenze, tra cui quella di un medico, il quale l’aveva fatto passare per cieco ma poi, appena ottenuti gli arresti domiciliari, è evaso ed ha dato vita ad una banda uccidendo venti persone in sei mesi. L’allarme sociale destato da quei fatti è stato enorme: lui uccideva per dissuadere gli imprenditori dal non pagare il pizzo, rivolgersi alle forze dell’ordine e non tralasciava di colpire pentiti e loro familiari. Voglio ricordare inoltre, una serie di operazioni finalizzate a smantellare alcuni dei clan operanti nella cosiddetta ‘zona dei Casalesi’, disarticolando diversi sodalizi criminali e portando all’arresto della moglie del boss latitante Antonio Jovine. Ciò ha avuto un significato importante: il fermo di congiunti stretti ha fatto diventare le organizzazioni criminali più vendicative e vedere che, noi non avessimo paura di farlo, ha sottolineato chiaramente il fatto che lo Stato non ha paura di nessuno”.
In questi giorni sta uscendo il suo ultimo libro, significativamente intitolato “Guerra alla camorra” che verrà presentato ufficialmente nell’ambito delle celebrazioni in ricordo di don Beppe Diana. Cos’ha significato per lei la sua figura? Che messaggio ha voluto lanciare attraverso il libro?
“Don Beppe Diana e Don Pino Puglisi sono state due figure molto importanti e significative nella lotta contro la criminalità organizzata, come lo è oggi Don Maurizio Patriciello insieme ad altri sacerdoti. In passato, per troppo tempo, la lotta alle mafie era vista come qualcosa che riguardasse, in maniera quasi esclusiva, le forze di polizia e la magistratura. Queste sono le uniche che devono intervenire di fronte a un reato o a un fatto criminale ma, di fronte a dei fenomeni che permeano negativamente la società, come la criminalità organizzata, ci troviamo di fronte a un problema sociale. Servirebbe quindi un aiuto da parte di famiglie, Chiesa, scuola, mondo del lavoro e imprenditoria: solo se ognuno di questi attori facesse la propria parte, si riuscirebbe ad avere ragione in maniera più celere di questa piaga sociale. Don Puglisi e Don Diana sono simboli di questa lotta ma, al loro fianco, molte persone, preferivano voltarsi dall’altra parte”.

Che messaggio si sente di lanciare ai Carabinieri che, oggi, sono impegnati nella lotta alla camorra?
Ai Carabinieri impegnati su questo versante dico di non scoraggiarsi. Guardandomi indietro ho visto che il contrasto a queste forme di criminalità, ha fatto molti passi avanti e, di conseguenza, il fenomeno è cambiato. È mutato però anche l’atteggiamento delle persone comuni: un tempo, ad esempio, se ci si recava in Sicilia chiedendo cosa fosse la mafia, ci si sentiva rispondere ‘la mafia non esiste’ oppure ‘è un invenzione dei piemontesi’. Oggi, invece, si registra una mobilitazione popolare molto importante e, a partire dagli anni ’70, anche altri settori della società civile hanno iniziato a contrastare in prima persona questo fenomeno. Agli operatori sul campo mi sento di dire che la situazione sta migliorando lentamente e di anno in anno. Non si tratta solo di operazioni di polizia, ma di contribuire a mutare il modo di sentire della gente e, di conseguenza, una parte della società”.