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Gramaglia: “Il giornalismo come ricerca della verità è al riparo dai rischi dell’IA”

Il 15 gennaio 1945 l’Agenzia nazionale stampa associata batteva le sette righe del suo primo notiziario. Giampiero Gramaglia, già direttore dell’Ansa, ripercorre con Interris.it questa pagina di storia del giornalismo italiano e riflette sul presente e sul futuro dell’informazione ai tempi dell’intelligenza artificiale

“Non c’è stato un solo momento della storia dell’Italia repubblicana che l’Ansa non abbia raccontato, è una cronaca in tempo reale dell’Italia e del mondo”. Parola di Giampiero Gramaglia, una vita nel giornalismo, dagli inizi alla carta stampata nel 1972 fino ad oggi dove all’attività pubblicistica online, televisiva e radiofonica, unisce la formazione dei cronisti di domani. E quando parla dell’Agenzia nazionale stampa associata – Ansa, appunto – conosce la materia, avendone indossato per trent’anni la “maglia verde”, fino alla direzione tra il 2006 e il 2009. Interris.it lo ha intervistato in occasione degli ottant’anni della nascita della principale e più longeva agenzia di stampa del nostro Paese. Il 15 gennaio 1945 infatti l’allora neonata cooperativa, fondata da diverse testate delle regioni liberate in sostituzione della storica Stefani, divenuta organo d’informazione del regime fascista, batteva la sua prima notizia: sette righe sui bombardamenti degli alleati in Germania.

L’intervista

Quali sono stati i momenti salienti nella storia dell’Ansa?

“Dal suo primo dispaccio, il 15 gennaio 1945, un dispaccio della Reuter sui bombardamenti su Dresda, ad oggi, non c’è stato un solo momento della storia dell’Italia repubblicana che l’Ansa non abbia raccontato. Il referendum del 2 giugno 1946, il varo della Costituzione, le elezioni, il boom, le crisi, gli anni di piombo, Tangentopoli, la transizione dalla ‘prima’ alla ‘seconda’ Repubblica, l’11 settembre 2001 e le sue conseguenze, i trionfi sportivi – e anche le sconfitte. L’Ansa è una cronaca in tempo reale dell’Italia e del mondo in cui l’Italia si colloca”.

Foto © Carlo Carino

Una carriera trentennale all’Ansa, la sua, culminata con la direzione dal 2006-2009, raccogliendo eredità importanti come quella di Sergio Lepri. Di cosa si è occupato e quali sono stati i momenti salienti di questa esperienza?

“Dei miei trent’anni all’Ansa, quasi i due terzi sono stati da corrispondente all’estero. Fui assunto il 1° gennaio 1980, a Bruxelles, dove rimasi fino al 1989. Poi, allo snodo fra le direzioni di Sergio Lepri e Bruno Caselli, fui chiamato a Roma, come capo-redattore prima e come capo-redattore centrale degli Esteri poi. Nel 1997, divenni vice-direttore Esteri (e Sport), ma all’inizio del 1999 ripartii. Dopo un anno e mezzo a Parigi, dall’estate del 2000 andai a Washington come responsabile del Nord America. Ci rimasi al 2006, quandi fui nominato direttore. I momenti salienti sono stato notte dell’Heysel, il 29 maggio 1985, il Vertice di Maastricht, il 9 dicembre 1991, con la nascita dell’Unione europea e dell’euro, infine l’11 settembre 2001. Storie che, mentre le racconti, sai che resteranno – e ti resteranno.

Tempestività, attendibilità, autorevolezza. Quale di queste è la parola che racchiude l’essenza dell’Ansa?

“Un’agenzia, per essere tale e per essere credibile, deve essere tutte e tre queste cose. Ma l’autorevolezza è un portato della tempestività e dell’attendibilità, che, se sono disgiunte, sono monche. Per un’agenzia, presto e bene, prima e meglio, sono binomi indissolubili. Ma, se guardo al percorso dell’Ansa, direi che nel suo Dna Sergio Lepri ha soprattutto inciso l’attendibilità: meglio arrivare un istante dopo, ma con una notizia corretta, verificata, ben scritta e completa, che un istante prima, ma con sbavature”.

Un’agenzia di stampa non è solo ‘lanci’. Come lavora un mezzo di comunicazione di questo tipo?

“Mi hanno sempre fatto sorridere, e qualche volta arrabbiare, i colleghi degli altri media che tracciavano una linea tra loro che scrivevano articoli o facevano servizi, e noi ‘ragazzi d’agenzia’ che mandavamo notizie. Per due motivi: senza notizie non ci sono articoli e l’agenzia, a partire dalle notizie, fa pure sintesi, articoli, analisi, schede, cronologie, interviste, foto, video, video-clip, tutti i social, pagine pre-confezionate. L’intera gamma della produzione giornalistica”.

Rispetto a decenni in cui il giornalismo e l’opinione pubblica esigevano più trasparenza dal potere – si pensi agli Sessanta e Settanta -, oggi la mole di informazioni, dati e contenuti prodotta dalle fonti più diverse, che siano utenti amatoriali, professionisti o piattaforme, è imparagonabile. Siamo più informati?

“Più parole in giro non vuole dire, di per sé, più informazione e neppure più trasparenza. Anzi, la quantità di parole può costituire una potentissima cortina fumogena. Oggi più che mai, l’Ansa, le agenzie, devono discernere il grano dal loglio nel mare magnum dell’informazione disponibile; devono verificare e selezionare quel che è vero e va dato e quel che è falso e come tale va segnalato per potere essere evitato; e devono gerarchizzare le notizie a loro avviso più rilevanti rispetto a quelle meno rilevanti”.

Come si è aggiornato il motto del New York Times “all the news that’s fit to print”, che più o meno significa “tutte le notizie che meritano di essere stampate”? L’accento cade più su “all” o sul “fit”, sulla quantità o sulla qualità?

“Su entrambi i concetti: quelle che meritano di essere pubblicate, ma tutte, non privilegiandone alcune e censurandone altre. Io preciserei ‘solo quelle che meritano di essere pubblicate’, evitando, di partecipare al chiacchiericcio del futile che spesso finisce con il coprire il botto delle notizie”.

Negli ultimi trent’anni si sono susseguite tre rivoluzioni: il giornalismo online prima, il boom dei social media poi e adesso l’intelligenza artificiale. Come cambierà il giornalismo?

“Le tecniche del giornalismo e le tecnologie che il giornalismo utilizza evolvono ed è giusto che sia così. Il giornalismo, inteso come ricerca della verità, non cambia e, se resta fedele a sé stesso, è al riparo dai rischi conclamati dell’obsolescenza da intelligenza artificiale. Perché il giornalista scopre e dà notizie che nessuno ancora sa e l’intelligenza artificiale le impara dai giornalisti, non può scriverle al loro posto”.

Come docente universitario e direttore dei corsi alla scuola di giornalismo di Urbino è a stretto contatto con le di nuove generazioni di colleghe e colleghi. Come vede i giornalisti di domani?

“Vedo crescere giovani bravi professionisti che, a 25 anni, sanno e sanno fare cose che io, dopo cinquanta esatti di professione, non sono capace di fare; potenzialmente, è una generazione formidabile al servizio dell’informazione dei cittadini. Purché li sorregga, nonostante le difficoltà del precariato e la mancanza di tutele, la determinazione a fare il nostro mestiere, che è di scoprire e raccontare quel che ancora non si sa, di capire che cosa sta dietro i fatti e le decisioni, di fare emergere problemi e criticità, non di incensare ed elogiare”.

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