La locuzione moderna “figli trofeo” indica quei giovani di successo che, alcuni genitori, mostrano al mondo per sentirsi importanti di riflesso e per scatenare l’invidia altrui. Il figlio trofeo “nasce” già dalle prime ecografie, per essere mostrato al mondo, ai social, pur di evidenziarne l’eccezionalità. La costruzione del “personaggio” cresce con il passare del tempo, dai primi passi (in tutti i sensi) tipici del neonato, in cui si sottolineano strabilianti attitudini e capacità che si sublimano, poi, nella scuola, nei titoli e nella professione.
Le fasi della suddetta costruzione sono pianificate in maniera rigorosamente scientifica, sistematiche, procedurali, con l’obiettivo, dichiarato, di soddisfarle pienamente, senza intoppi, come in un’equazione. Diversa condizione è quella, in cui, altri genitori, lasciano liberi i figli di crescere autonomamente, senza essere appendici del padre e della madre. Altri genitori, infine, faticano affinché i loro figli, con problemi fisici o cognitivi, siano accettati (e non scartati) dalla società del successo.
È fisiologico e auspicabile che un genitore sia contento per i risultati positivi, pratici e non, raggiunti da un figlio; diviene patologica la condizione in cui quest’obiettivo sia perseguito all’estremo, solo per creare invidia nei confronti del prossimo, per primeggiare, per sfogare frustrazioni represse. Una sana valutazione di un successo conduce a una soddisfazione personale (diametralmente opposta alla pubblica ostentazione) anche per un riconoscimento agli sforzi educativi impiegati, che non trabocca verso manie di grandezza. La valutazione è sana quando riconosce, altresì, il giusto merito al giovane.
Un figlio è il frutto della bellezza di un amore: è questa la sua straordinarietà, la gioia che reca con sé. Tale straordinarietà è intrinseca, non necessita di riconoscimenti esterni e certificazioni di garanzia. Nei casi più assurdi ed egoistici, la relazione che accompagna il successo del figlio si ricollega a un autocompiacimento personale del genitore, ritenutosi unico artefice del risultato. La soddisfazione per i traguardi dei figli sono surrogati, quindi, da un edonistico riconoscimento. Il genitore gioisce, di fatto, per se stesso.
L’invidia è un’arma a doppio taglio: si cerca di scatenarla all’esterno ma la sete egoistica e cieca che la nutre, può rivolgersi all’interno, nei confronti del pargolo, suscitando ulteriori lacerazioni familiari. Il 2 febbraio 1994, nella Lettera alle famiglie “Gratissimam sane”, San Giovanni Paolo II, scriveva “L’educazione può essere considerata un vero e proprio apostolato. È una comunicazione vitale, che non solo costruisce un rapporto profondo tra educatore e educando, ma li fa partecipare entrambi alla verità e all’amore, traguardo finale a cui è chiamato ogni uomo da parte di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. […] L’educazione è allora prima di tutto un’‘elargizione’ di umanità da parte di ambedue i genitori: essi comunicano insieme la loro umanità matura al neonato, il quale a sua volta dona loro la novità e la freschezza dell’umanità che porta con sé nel mondo. Questo si verifica anche nel caso di bambini segnati da handicaps psichici e fisici: in tal caso, anzi, la loro situazione può sviluppare una forza educativa del tutto particolare. […] La potenziale ricchezza, costituita da ogni uomo che nasce e cresce nella famiglia, va responsabilmente assunta in modo che non degeneri né si disperda, ma, al contrario, si realizzi in un’umanità sempre più matura. È pure questo un dinamismo di reciprocità, nel quale i genitori-educatori vengono, a loro volta, in certa misura educati. Maestri di umanità dei propri figli, essi la apprendono da loro”.
Lindsay C. Gibson, psicoterapeuta e psicologa, è l’autrice del volume “Figli adulti di genitori emotivamente immaturi” (sottotitolo “Come guarire dalle ferite causate da genitori distanti, respingenti o egocentrici”), pubblicato da “Vallardi A.” nel giugno 2023. Parte dell’estratto recita “La psicologa clinica Lindsay Gibson da anni studia gli effetti distruttivi che una genitorialità immatura può avere sui figli. In quest’opera ci spiega come intervenire sul presente, rivoluzionare la percezione che abbiamo di noi stessi, ridimensionare le aspettative frustrate nei confronti dei nostri genitori e ristabilire nuovi e inaspettati equilibri nelle relazioni sia famigliari che amorose”.
A proposito del “generare”, il 20 maggio scorso, l’Istat, al link https://www.istat.it/comunicato-stampa/indagine-bambini-e-ragazzi-anno-2023/, pubblicava “Dalle intenzioni espresse dai ragazzi tra gli 11 e i 19 anni una ripresa demografica non sembrerebbe però impossibile. I giovanissimi intervistati vedono infatti il loro futuro in coppia (74,5%) e molti pensano al matrimonio (72,5%). Tra i giovanissimi desidera avere figli il 69,4%, di questi soltanto l’8,8% è per il figlio unico, mentre il 18,2% pensa a tre o più figli”.
Il 3 gennaio 2025, nel Rapporto Coop 2024, consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani, visibile al link https://italiani.coop/rapporto-coop-2024-winter-edition/, si leggeva “Le intenzioni di nuove unioni o nuova genitorialità sono nei programmi di solo il 6% degli intervistati e stessa percentuale per coloro che pensano di sposarsi (4% tra i 18-29 enni)”.
Nell’era dei social e del digitale, l’esigenza di mostrare e mostrarsi a un pubblico vasto e rapidamente raggiungibile, è divenuta sempre più pressante. Le enormi vetrine di fotografie, video, post, notizie, aiutano a inseguire, con più coinvolgimento, l’esibizionismo proprio e della prole. Ne consegue uno svilimento del corretto rapporto, dell’aspetto educativo e affettivo, con ripercussioni per entrambi i ruoli (alcune più manifeste, altre più interiori), in un processo volto a negare la comprensione reciproca.
L’esposizione dei “bambini oggetto” prende il nome di “sharenting”. Attraverso questa pratica discutibile, il web è stracolmo di materiale relativo a bambini e bambine, con infauste conseguenze (pedofilia e cyberbullismo). I figli dei personaggi famosi sono più esposti all’esser trofei, a proseguire nella tradizione di famiglia, sin dal concepimento, ai primi vagiti, per proseguire nel tempo, documentando ora per ora.
La Società Italiana di Pediatria, al link https://sip.it/2023/04/12/sharenting-per-ogni-bimbo-ogni-anno-300-foto-online-i-consigli-dei-pediatri-per-un-ambiente-digitale-sicuro/, riprende uno studio del Journal of Pediatrics e precisa “Ogni anno i genitori condividono online una media di 300 foto riguardanti i propri figli e prima del quinto compleanno ne hanno già condivise quasi 1.000. Le prime tre destinazioni di queste foto sono Facebook (54%), Instagram (16%) e Twitter (12%)”.
La funzione “trofeo” ha ampia estensione. L’errore in cui precipita una persona nel momento in cui idolatra un figlio, un marito, una moglie, è quello di viverne all’ombra e di essere vivi solo per luce riflessa. Vantarsi di un partner prestigioso rischia, dunque, di svilire la propria personalità e di essere soltanto un addobbo del protagonista. La dipendenza può variare da uno stato passivo e parassitario sino a uno più complesso, in cui si perde la propria dignità e si rimane succubi dell’altro.
Nel momento in cui, poi, questa luce dovesse spegnersi o ridursi, la persona sottomessa, precipiterebbe in un vuoto esistenziale e in una condizione di isolamento. Gli individui non dovrebbero costituirsi come automi all’ombra di altri ma persone vive e lucenti, in un rapporto scambievole, paritario, di rispetto, aiuto, ricchezza spirituale e capacità di dialogo. Completarsi, non annullarsi.
Vivere (o perseguire l’illusione di vivere) di gloria riflessa nasconde un vuoto interiore, scarsa indipendenza e personalità nonché un continuo, sistematico e patologico confronto con l’opinione altrui e il ruolo che l’altro conferisce. Ci si percepisce solo in funzione del ruolo assegnato. L’“ombra” può scaturire in diverse occasioni, anche tra fratelli, tra amici.
Il teorema che punta a creare “trofei” si fonda sull’impossibilità di considerarsi individui comuni, nel vedere la normalità come un fallimento, nel timore di aver battute d’arresto; in sostanza, nel considerarsi sempre superiori agli altri.
Anziché perseguire il teorema dell’affermazione a tutti i costi, una sana condotta genitoriale dovrebbe essere rivolta a stimolare i figli, ad ampliarne cuore e mente, per creare un rapporto equilibrato con il mondo e con il prossimo, imparando anche a gestire situazioni avverse o insuccessi. Questi ultimi, devono essere considerati come gradini di rilancio, di crescita e di capacità di reazione, non come fallimenti esistenziali dinanzi ai quali crollare e distruggersi.
La ricerca del successo e della perfezione costringe questi bambini, sin dalla tenera età, a impostare un percorso meccanico, cinico, alla massima velocità, pur di giungere alla meta. Cosa avviene quando il bambino/ragazzo non centra, a scuola, nello sport o in altri contesti, i parametri del “genio” che desiderano i genitori? Si creano, nella “vittima”, dei sensi di colpa incolmabili che distruggono l’autostima. L’effetto catastrofico si riflette anche a livello sociale, per un alterato rapporto in cui si somatizzano frustrazioni, delusioni, rabbia, insani confronti. In questa corsa al “riarmo antisociale”, nell’arena si muovono ombre, non persone, che vivono per procura e in relazione al successo che ottengono i propri familiari, in primis la prole. Il confronto ha la meglio sull’incontro e chi nutre interesse soltanto a surclassare l’altro, convinto della propria superiorità, con ogni mezzo espone il premio ricevuto per il proprio cinismo: un trofeo, all’esterno dorato, all’interno pieno di polvere.