I disturbi dell’alimentazione, soprattutto l’anoressia, sono in netto aumento, non solo nelle ragazze (nelle quali comunque rimane una netta prevalenza del fenomeno), ma anche nei maschi. Per affrontare questo genere di problema con i minori, bisogna sottolineare l’urgenza di saperne di più su un tipo di disturbo che, ahimè, non è più territorio esclusivo dell’universo femminile, ma sta cominciando a presentarsi anche tra gli maschi. Una prima precisazione importante da fare riguarda la fascia di età in cui si collocano i disturbi dell’alimentazione. Quando essi si presentano nel corso dell’infanzia, essi esprimono una difficoltà che il bambino ha con l’ambiente in cui vive.
I bambini
Ad esempio, il rifiuto del cibo da parte del bambino/a molto piccolo rappresenta spesso una reazione specifica ad un atteggiamento materno poco rispettoso nei confronti dei suoi ritmi, eccessivamente autoritario o ansioso; il vomito ricorrente costituisce, invece, una tipica risposta psicosomatica del bambino/a ad un conflitto presente nella coppia genitoriale, a dissidi familiari molto intensi, ad una difficoltà a distaccarsi dalla madre o ad una situazione di disagio emotivo che il piccolo/a non riescono ad esprimere con altre modalità; mentre un impulso irresistibile ad alimentarsi, per certi versi avvicinabile alla bulimia dei soggetti adulti, può essere ricondotto alla presenza di nuclei depressivi.
Gli adolescenti
Nell’adolescente, poi, i disturbi alimentari possono rappresentare sia una continuazione di analoghi antecedenti nell’infanzia, sia legarsi ad uno specifico momento evolutivo. In quest’ultimo caso, il rifiuto del cibo è una specifica modalità dell’adolescente maschio e/o femmina di “protestare”, affermando la propria identità e i propri principi, un po’ come un leader politico vecchio stampo che digiuna per sostenere un’ideologia contrastata. Del resto, è tipica dell’adolescenza, l’adesione massiccia a teorie filosofiche e politiche: un rifugiarsi nelle idee per riuscire a controllare meglio le pulsioni “impazzite” del corpo, proprio come dei “giovani asceti”. E’ importante, comunque, non sottovalutare tali atteggiamenti, soprattutto per stabilire se essi rappresentino solo la difficoltà di un momento o se, invece, abbiano un significato più profondo.
Regole
- Andare all’origine dei disturbi alimentari già nel bambino/a: possono essere la spia di un disagio psicologico molto intenso.
- Indagarne le cause e valutare se sia sufficiente un nostro intervento per rimuoverle o se sia necessario il parere di un esperto. Ad esempio, un rifiuto del cibo nel bambino/a nel periodo dello svezzamento, essendo legato ad una sorta di “braccio di ferro” tra madre e figlio, spesso può essere risolto delegando momentaneamente un’altra persona dell’alimentazione del piccolo, mentre il vomito ricorrente dei più grandi può esprimere un problema più complesso.
- Non sottovalutare la magrezza degli adolescenti: sotto quegli enormi maglioni può nascondersi un disturbo serio.
- Valutare attentamente se il disturbo alimentare sia legato ad un episodio occasionale e transitorio o se invece costituisca una sequela dell’infanzia e, in quanto tale, esprima una specifica modalità, consolidata, di esprimere il disagio psicologico.
- Ricordare che i disturbi dell’alimentazione esprimono una difficoltà comunicativa: cosa sta cercando di dirci nostro figlio/a con il suo comportamento?
- Se nostro figlio/a non ha mai avuto problemi con l’alimentazione, avviciniamoci al suo mondo evitando i metodi inquisitori. Cerchiamo di capire con la dolcezza che cosa gli stia succedendo e perché sia cambiato il suo rapporto con il cibo: è preoccupato/a per il suo aspetto fisico? E’ innamorato/a? C’è qualche ansia particolare che lo/la turba? Sta assumendo delle sostanze che creano dipendenze? fuma? Ha avuto qualche trauma? Il metodo migliore è sempre la partecipazione attiva agli interessi e alle attività abituali cui si dedicano i nostri figli.
- Se è vero che il rifiuto del cibo ha essenzialmente un significato di protesta, è altrettanto importante non considerarlo solo come un atto provocatorio. Evitiamo, tanto con il bambino/a quanto con gli adolescenti, le espressioni del tipo “ai miei tempi il cibo era prezioso; se non mangiavo mi lasciavano digiuno fino al giorno dopo”: non sono utili per chiarire le ragioni profonde del comportamento dei nostri figli e possono solo inasprire ulteriormente il conflitto con loro.
- Evitare anche di ossessionare i ragazzini con minacce, lusinghe o ricatti: comprendendo la nostra preoccupazione, i nostri finiranno per usare il cibo come una sorta di potere contrattuale da gestire come meglio credono. O si sentiranno ulteriormente aggrediti in un momento che già di per sé è estremamente complicato per loro.
- Proviamo a modificare l’atteggiamento dei nostri figli nei confronti del cibo, coinvolgendo loro in attività che gli facciano capire l’importanza dell’alimentazione. Ad esempio invitarli a cucinare i loro pasti; incaricandoli dell’approvvigionamento familiare, incoraggiandoli a dedicarsi ad attività di volontariato presso mense pubbliche, spronandoli a preparare i pasti per quelle persone che non hanno di che sfamarsi.
- Valutiamo se il rifiuto del cibo non costituisca un problema relazionale all’interno della famiglia. Ad esempio, se i nostri figli si alimentano normalmente fuori casa, mentre disertano il desco familiare, forse il loro problema riguarda proprio il rapporto con noi.
- In tutti quei casi in cui il problema alimentare dei nostri figli persista, perdendo quindi il suo carattere di transitorietà, non esitiamo a coinvolgerlo in un lavoro psicoterapeutico con un esperto.