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Una Chiesa per gli altri

La riflessione del Vaticano II si incentra sulla connotazione sempre più cristocentrica che deve assumere la Teologia Morale per mostrare la centralità del Mistero di Cristo per la salvezza personale e comunitaria, e quindi l’essenza stessa della giustizia. La centralità dell'Incarnazione permette di affrontare alcune importanti questioni.

In primo luogo, la “Gaudium et Spes“, al numero 36, affronta il tema della “legittima autonomia delle realtà terrene“, intendendo con questa espressione che “le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare”. Questa esigenza, si dice ancora, “non solamente è rivendicata dagli uomini, ma è anche conforme al volere del Creatore“. Tutta la creazione, in questo senso, acquista un valore centrale: viene riconosciuto lo statuto creaturale di tutto il mondo, la cui identità è quella di essere Cosmos e non Caos: il mondo è ordinato perché ha un Logos interno. L'atto creato si trasferisce da Dio, per mezzo dell'Incarnazione, al mondo. In questo modo riacquista un valore primario ed essenziale, anche nell’economia del nostro discorso, l’idea secondo cui la teologia della creazione non si possa separare da quella della redenzione. Il mondo, cioè, non è una cosa neutra e nemmeno una realtà negativa: è ciò che è uscito dalle mani di Dio e che nemmeno la ferita del peccato ha alterato del tutto. L'incarnazione del Figlio ci indica la via da seguire: se ci si mette in ascolto di questa realtà naturale si realizza un fine positivo: rispettare la “giusta autonomia”. Questo permette di oltrepassare i fondamentalismi e ci spinge ad un dialogo continuo di ricerca con tutti gli uomini e le donne.

In questo senso, l'Incarnazione, la kenosis, non rappresenta una fuga dal mondo, ma un immersione radicale in esso, che consiste nella morte del proprio Io per giungere ad una comunione armonica e appassionata con tutto il creato, verso una liberazione integrale. 

In particolare, è a partire dalla nostra fede in Gesù povero e sempre vicino ai poveri, che, come afferma Papa Francesco,  “deriva la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati della società”. Il Pontefice prosegue affermando che “ogni uomo e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società”.

Tutto ciò si inserisce pienamente nell’economia del discorso che stiamo avanzando. La liberazione dei poveri, cioè il rendere loro giustizia, non è un atteggiamento distante e distaccato dalla fede, ma rappresenta anzi il suo totale compimento. Riprendendo, anche se non esplicitamente, e approfondendo le parole di Giovanni XXIII, Papa Francesco – in una interessante ed originale prefazione ad un testo del card. Müller – dichiara che “quando l’uomo è educato a riconoscere la fondamentale solidarietà che lo lega a tutti gli altri uomini, allora sa bene che non può tenere per sé i beni di cui dispone”.

Già Aristotele distingueva fondamentalmente tra due tipi di giustizia: la giustizia distributiva, che consiste nell’assegnare a ciascuno la parte che gli spetta, in base alla proporzione; e una giustizia commutativa o regolatrice, che invece si riferisce alle condizioni sociali, e in cui l’equità trova la sua garanzia più piena ed autentica in un giudice capace, in nome del giusto mezzo, di togliere a colui che si è avvantaggiato con iniquità per dare a chi ha perso, ristabilendo, in questo modo, la relazione iniziale.

Si tratta evidentemente della questione della giustizia e del bene comune. Essa, pertanto, chiama in causa la libertà dell’uomo, intesa come detto precedentemente come partecipazione all’azione di grazia di Dio. La Chiesa, e quindi tutti coloro che vi appartengono, può essere riconosciuta come la Chiesa di Dio solamente se diviene una “chiesa per gli altri”. Müller afferma brillantemente che la Chiesa, in tal senso, “deve partecipare dell’azione liberatrice di Dio nella storia”. 

In questo senso si comprende meglio il rapporto che intercorre tra la Grazia di Dio e la libertà umana, ovvero l’agire. Dio, commenta il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, “si comunica come contenuto della libertà umana ed egli si dona, quale fine, al movimento dell’uomo verso la libertà, fine verso cui la libertà umana tende dinamicamente, anche come compimento storico e materiale di essa (trascendenza della salvezza)”. In tale maniera, afferma ancora Müller, solo chi fa la verità vive alla presenza della salvezza, senza che con il proprio agire debba produrla autonomamente. Il contrasto tra ortodossia e ortoprassi, tra conoscenza della verità attraverso il pensiero e conoscenza della verità attraverso la prassi, tra fede e amore, appare così del tutto superato.

Il luogo privilegiato in cui sperimentare questo tipo di giustizia è la Croce di Cristo. È nel Crocefisso che è possibile intravedere ed individuare la riconciliazione di due poli apparentemente difficili da riconciliarsi: la sofferenza umana e la perfezione di Dio, quindi la sua giustizia.

Mettersi ai piedi della Croce diviene, perciò, l’unica possibilità dell’unione tra questi due contrari, apparentemente inconciliabili. Contemplare Gesù Crocefisso significa entrare sempre più profondamente nel mistero di Dio che non ha disprezzato farsi uomo, al punto da voler condividere in tutto, eccetto il peccato, la condizione umana dalla parte dei più deboli e degli esclusi.

Come afferma Gutierrez: “Amare Yahvè è rendere giustizia al povero e all’umiliato (…) Conoscere Yahvè, che nel linguaggio biblico significa amare Yahvè, è stabilire giuste relazioni fra gli uomini, è riconoscere il diritto dei poveri”. La conoscenza di Dio, pertanto, si ha attraverso la giustizia tra gli uomini. In questo senso, allora, si comprende bene come l’azione per la giustizia e la promozione umana non siano estranee all’evangelizzazione. Come rileva ancora Gutierrez: “queste non finiscono là dove inizia l’annuncio del messaggio cristiano; non si tratta di una pre-evangelizzazione, ma costituiscono una parte della proclamazione della Buona Novella”. L’impegno per la giustizia e per l’edificazione del Regno di Dio devono essere sempre animati e sostenuti dalla speranza e dalla carità.

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