Con la Domenica delle Palme ha inizio la Settimana Santa che ci vedrà concentrare l’attenzione della nostra fede nel Triduo Santo: Giovedì, Venerdì, Sabato Santo e poi rivivremo l’evento che ha cambiato la storia dell’umanità e la vita dei credenti: la Risurrezione di Cristo. Il messaggio fondamentale del Triduo della passione, morte e risurrezione del Signore è un invito alla tenerezza e alla misericordia, di cui abbiamo tanto bisogno in questo nostro tempo. Nella sua passione, morte e risurrezione Gesù ci rivela il vero volto di Dio: un Padre misericordioso che sempre perdona, che ci ha amato a tal punto da consegnare suo Figlio alla morte di croce per salvarci. Cristo ci ha amato fino alla fine (cfr Giovanni 13,1), fino a dare la vita. Come più volte si ripete, essere cristiani non è seguire una morale o una filosofia, ma fare esperienza di quest’amore, lasciarsi commuovere e trasformare da un Dio che ci ama così follemente da lavare i nostri piedi, da farsi servo, da morire per noi. Per noi soffre e muore, ma risorto trionfa per sempre sulla morte. Per questo vivere questi giorni intensamente è per ogni credente un’esigenza naturale. Potessimo tutti giungere a dire con san Paolo: “Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Galati 2,20). Essere cristiani vuol dire lasciarsi amare da Dio, riconoscersi peccatori e accogliere il suo perdono, diventare misericordiosi come lui è misericordioso (cfr Luca 6,26). E' il passaggio, la Pasqua, che siamo chiamati a fare nella nostra vita, giorno per giorno.
Nell’esortazione apostolica “Evangelii gaudium” Papa Francesco parla per ben 11 volte di tenerezza, ricorrendo a questa parola in modo sempre pensato con molto discernimento. Parla di “tenerezza combattiva contro gli assalti del male” (85), di “infinita tenerezza del Signore” (274), di “tenerezza” come “virtù dei forti” (288), di “forza rivoluzionaria della tenerezza” (ibid.), avendo coscienza che la tenerezza è appunto una virtus, una forza attiva e pratica, non solo un sentimento. Arriva a scrivere che “il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza” (88).
Perché questa insistenza sulla tenerezza? Perché la vita è un duro mestiere, perché i rapporti oggi si sono fatti duri, senza prossimità, spesso anaffettivi, diffidenti, e gli uomini e le donne di questo nostro tempo sentono soprattutto il bisogno di tenerezza. Tenerezza come sensibilità, apertura all’altro, capacità di relazioni in cui emergano l’amore, l’attenzione, la cura. La tenerezza non è un sentimento sdolcinato, ma una straordinaria virtù. A ben vedere, la tenerezza è davvero ciò che oggi più manca. Quante relazioni tra sposi e nelle famiglie vengono meno, vedono depotenziarsi la passione oppure finiscono per essere affette da violenza e “cosificazione” dell’altro, proprio perché manca la tenerezza; quante relazioni di amicizia ingrigiscono perché non si è capaci di rinnovare il legame con la tenerezza; quanti incontri non sbocciano in relazione per mancanza di tenerezza…
Ecco perché la tenerezza deve vedersi ed essere riconosciuta su un volto: altrimenti il volto diventa rigido, duro, inespressivo! La tenerezza è un aspetto della misericordia, è la misericordia che si fa vicinissima fino a essere una carezza, un prendere la mano dell’altro nella propria mano, un asciugare le lacrime sugli occhi dell’altro: la tenerezza è misericordia fatta tatto e la misericordia, a sua volta, è una carezza. Dicono che questo Papa non si fa vedere, ma piuttosto si fa toccare. C’è una verità in questo giudizio, perché Francesco sa mostrare la sua tenerezza: e chi sente la mancanza di tenerezza va da lui, non tanto per vederlo, ma sperando di essere abbracciato. Possa questa Settimana Santa essere occasione propizia per accogliere il dono della tenerezza e della misericordia.