Durante le continue discussioni temi economici, talvolta rese più pepate dalla notizia di qualche scandalo finanziario nella Chiesa, non notato dai media al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo si è svolto un simposio intitolato “Monasticism&Economy”. Pensato in un primo momento come contributo al dibattito ispirato all’enciclica “Laudato si” di Papa Francesco questo evento ha aperto nuovi orizzonti nella riflessione ed elaborazione sul tema della povertà.
In un momento in cui si manifestano diverse patologie economiche nelle istituzioni ecclesiastiche è facile ricorrere a tesi estremiste. Tuttavia uno sguardo onesto ed analitico alla più antica tradizione della vita consacrata nella Chiesa ci può insegnare molto. Il radicalismo evangelico dei primi monaci non impediva loro di essere parte di rapporti economici normali per la società di allora. Anzi, pure ricevendo vari doni, commerciavano e svolgevano diversi lavori (come la mietitura e la vendemmia). In questo modo partecipavano pienamente alla società del tempo, con cui condividevano la fatica quotidiana e la preoccupazione per il futuro. Dall’altra parte lato il monachesimo cenobitico (comunitario) ha sviluppato nuove ed efficaci forme di lavoro specializzato, ben organizzato e gestito. Questo non solo consentiva di assicurare il giusto livello di manutenzione ai grandi monasteri ma diventò anche un importante fattore per lo sviluppo economico delle diverse regioni.
Durante secoli di medioevo questo ruolo dei monasteri ha rappresentato la base della civiltà moderna. Dobbiamo a loro non solo l’invenzione di vari prodotti gastronomici (formaggi, vini, birre, spumante) ma anche una certa cultura di gestione delle organizzazioni. Dalla Regola di San Benedetto risulta la pratica di amministrazione partecipativa, il rispetto per ogni persona e per vari ritmi sia del tempo che di spazio. Nell’insegnamento di San Benedetto si possono trovare in embrione tutta le norme per la cultura di qualità. Il concetto del discernimento – cioè il saper trovare la misura giusta di ogni cosa – sembra essere sempre attuale.
La cultura monastica ha elaborato anche un atteggiamento giusto verso i beni materiali: accontentarsi di quello che è necessario, lasciando il resto ai poveri. Ovviamente il lavoro onesto e ben organizzato portava tanto guadagno. Ma basta guardare la storia del monachesimo per scoprire il contributo fornito dai monaci all’educazione, alla cultura e ai servizi sanitari. Ai giorni nostri queste sfide sono ancora attuali. Il modello di una vita sobria e frugale e la responsabilità sociale devono pian piano diventare una componente costante dell’economia occidentale.
Come raggiungere questo obiettivo? Per i monaci la strada era chiara: dare priorità a tutto ciò che porta verso salvezza. Se oggi l’idea di salvezza non sembra tanto attraente, forse basta ricordare i criteri che San Benedetto ha stabilito per i candidati alla vita monastica: voler essere felici e cercare Dio veramente. Molti teologi e sociologi scrivono che le persone alla ricerca di qualcosa di superiore sono più degli stessi credenti. Una ragione un più per rivolgersi alla tradizione monastica.