Alcuni anni fa è uscito nelle sale dei cinema il film intitolato “Into the wild“. Vi si racconta l’avventura reale di un giovane che, alla fine del college, si allontana dalla famiglia e da tutto il suo mondo borghese, in cerca della felicità, pensando di poterla trovare in un totale isolamento dalla civiltà. E così, dopo un lungo viaggio in solitudine – ma durante il quale, paradossalmente, fa una serie di incontri estremamente significativi e profondi – si ritira nelle terre deserte dell’Alaska.
In quella solitudine, Chris, che ha persino cambiato il suo nome in Alexander al fine di tagliare anche con il proprio passato, sente di aver trovato l’essenziale, ma nel momento in cui vuole tornare a raccontare la sua scoperta non può più riattraversare il fiume ormai di nuovo in piena. Costretto a rimanere nella solitudine selvaggia dell’Alaska, scopre che quelle terre non sono fatte per l’uomo, perché “la felicità è reale solo se condivisa”. Sono le sue ultime parole, la vera scoperta.
Ho l’impressione che il mito di “Into the wild” abiti nel profondo di ognuno di noi, la pretesa cioè che la vita sia solo nostra e che sia un nostro diritto riappropriarci della nostra autonomia originale che la società ha nascosto e alterato. Ci pensiamo un po’ come individui separati gli uni dagli altri, sostanzialmente in lotta gli uni con gli altri nella rivendicazione del diritto al proprio spazio. Tutt’al più decidiamo graziosamente di concedere a qualcuno un po’ della nostra attenzione, ma sempre per un mero guadagno personale.
Questo Io messo continuamente al centro tradisce la realtà, e per arrivare a capirlo il protagonista di “Into the wild” deve arrivare a morire. Davanti alla domanda dei tanti farisei della storia, che sono esattamente il prototipo dell’uomo moderno che si mette al centro e vuole rileggere tutto in funzione del proprio esclusivo interesse, Gesù rimanda all’Inizio, al Principio: una parola che nel linguaggio biblico indica ciò che è a fondamento delle cose, ciò che avviene sempre, ciò che è alla base. Dio,come dice Papa Francesco, primerear, ci precede nell’amore.
A fondamento dunque c’è una relazione, siamo stati pensati già in relazione: è la relazione con Dio, che come primo atto generoso e gratuito nei confronti dell’uomo, gli ha offerto la sua amicizia, lo ha accolto dentro un giardino pensato appositamente per lui. Certo l’uomo può decidere di andarsene da quel giardino, così come può decidere di tenersi quel vuoto dentro senza che qualcuno lo occupi, ma non può negare né che ci sia quel giardino né che ci sia quel vuoto dentro di lui. Possiamo anche decidere di tagliare con il mondo e di rifugiarci in Alaska, ma nulla cancellerà la nostra identità di esseri per gli altri. Il primo grande divorzio è quello che facciamo con Dio.
Ecco la novità! Il regalo più bello che il Creatore ci ha fatto. Questo, San Francesco lo ha capito, anzi lo ha vissuto in pieno. Francesco si è fatto povero per arricchire il mondo con il suo amore. Si è fatto povero, si è spogliato di tutto, per vivere più intensamente e profondamente la relazione con tutta la creazione.
Quando le relazioni cominciano a non funzionare, diventiamo tutti farisei, cerchiamo tutti di precisare i confini, di mettere in chiaro le cose, di stabilire le responsabilità. Ma quando le relazioni funzionano, dice Gesù, non c’è bisogno di fare appello alla legge, basta il cuore. È l’amore che ti dice come stare nella relazione.
La relazione, anche quella coniugale, per Gesù non può essere questione di legge: tutelare il più debole nella relazione, non è una questione formale, ma è una questione di cuore. Quale spazio ha nella nostra vita il bisogno di relazionarci agli altri?