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L'avarizia del cuore

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Non c’è solo un’avarizia economica, ma anche una del cuore. Nel Vangelo di questa domenica il Signore ci dice: “Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza”(Lc 16,13) e Papa Francesco in un’omelia a Santa Marta ci ricorda: “Quando un ministro – sia sacerdote, diacono, vescovo – incomincia ad attaccarsi ai soldi,  si lega alla radice di tutti i mali,  l’avidità del denaro è la radice di tutti i mali. Il diavolo entra dalle tasche”.

Siamo nella società del consumismo, del tutto e subito, consumo e butto,  ogni cosa  si usa e si butta e non si ricicla, tutto va dentro la  spazzatura. La cultura dello scarto, il riciclare cose vecchie per renderle in cose nuove, possono essere risorse e nuove energie per il futuro. Alcuni poi hanno la  sindrome dello zio Paperone o di Arpagone di Moliere accumulando denaro senza utilizzarlo, ma conservandolo nelle “cassaforti” del proprio cuore. Chi pensa per se, sembra che conquista il mondo ed ha compreso come si vive, invece è il modo per vivere una vita vuota e senza senso. La vita è bella se è donata, se è spesa per gli altri, se si è generosi nei confronti delle persone che incontriamo.  Non possiamo servire il denaro o Dio, cioè gli idoli di questo mondo e il Signore, ma credere che il progresso di una società non si sviluppa solo dal punto di vista economico, ma patendo da quello umano. L’avarizia del cuore è la peggior malattia che possiamo avere. Chi non dona è triste, chi  dona è felice, perché c’è più gioia nel dare che nel ricevere. Donare tempo, sorrisi, parole di speranza a aiuti concreti alle persone. Abbiamo ricevuto tanto da Dio e siamo chiamati a ridonare agli altri. Giovanni Verga in una bellissima novella sulla roba dipinge cosi l’avaro: “Quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: ‘Roba mia, vientene con me!’. Dobbiamo sognare insieme una società della condivisione e non del profitto, una società dove regna l’amore e tutti hanno il diritto di vivere degnamente la vita.

fra Emiliano Antenucci: