La particolarità della Quaresima è quella di aiutare a riscoprire gli aspetti essenziali della vita spirituale che troppo spesso trascuriamo o dimentichiamo. Uno di questi è la lettura della Bibbia – lettura non solo in senso letterale, ma piuttosto intesa secondo il ruolo che la Scrittura può e deve avere nella nostra vita. Si tratta del nostro rapporto personale, intimo con la Parola di Dio, come viene in certo modo ricordato dall’introduzione della terza Domenica del Tempo Ordinario dedicata proprio alla Bibbia.
La liturgia della Parola nella prima domenica di Quaresima mostra con forza come e quanto sia importante il contatto personale con la Bibbia. La prima lezione arriva dai testi delle antifone gregoriane che accompagnano la liturgia di questa domenica: introito, offertorio, tractus, graduale e communio. È l’unico proprio della messa che usa le stesse parole – il salmo 90 (Tu che abiti al riparo dell'Altissimo e dimori all'ombra dell'Onnipotente). In questo c’è una ripetizione significativa e commovente, espressa in modo suggestivo dalla varietà stupefacente delle melodie che accompagnano il testo stesso. Lì sperimentiamo un’insistenza santa molto vicina al fervore dei primi monaci, coloro per i quali il rapporto con la Bibbia era sempre questione di vita e di morte – in senso letterario.
Questo atteggiamento era corrispondente a ciò che ha fatto Gesù mentre si trovava nel deserto a combattere contro le tentazioni. Sia per lui che per i monaci la Bibbia era la medicina se non l’arma per combattere le tentazioni – i pensieri cattivi, i “logismoi” come scriveva Evagrio Pontico. Sant’Atanasio, il biografo di Sant’Antonio, racconta che colui che incarnava il perfetto esemplare della vita monastica imparava a memoria la Scrittura e la recitava poi a brani distinti mentre si trovava in viaggio, oppure durante il lavoro o nell’ora della tentazione. Secondo Evagrio la recita della salmodia era d’aiuto quando un monaco iniziava a sentirsi schiavo di una tentazione diabolica, oppure immerso in un combattimento spirituale. In questi casi si tratta del rapporto personale, individuale con la Bibbia. Anche la recita comunitaria dei salmi in un certo modo era sottomessa al profitto personale: doveva preparare, purificare l’anima per renderla disposta alle ispirazioni di preghiera inviate direttamente da Dio. I primi monaci, cioè “i Padri del Deserto” hanno applicato subito e scrupolosamente il metodo proposto da Gesù che entrando in dialogo col tentatore gli risponde solamente con parole bibliche. Due delle citazioni che conosciamo usate da Gesù provengono dal libro del Deuteronomio; una dal salmo 90, già menzionato sopra. In questo punto si deve tuttavia notare, che Gesù poteva essere così efficace grazie all’altro aspetto della sua vicinanza intima con la Parola di Dio: proprio stava unito con lui. Solo così poteva respingere il tentatore.
Questo metodo porta ad una conoscenza tanto profonda quanto personale della Bibbia che, in pratica, si traduce nella fiducia assoluta in Dio ma anche nella possibilità di concepire la propria vita secondo le categorie proposte dalla Parola di Dio. Come era possibile questo? Grazie alla pratica della “lectio divina”, lettura sistematica e meditativa della Bibbia: parola dopo parola, frase dopo frase, libro dopo libro – da qualche ora al giorno fino alla meditazione quasi continua anche di una sola frase destinata a diventare un filo conduttore oppure una lampada della giornata. Come scrivevano alcuni autori si trattava della “ruminazione” della Parola di Dio. Solo così essa poteva entrare nella mente e nel cuore di un monaco, nutrendo la sua vita quindi dandogli le forze necessarie nei momenti critici. Gesù nel momento della sua agonia sulla croce prega con le parole che troviamo nel salmo 22, dando così l’esempio commoventissimo della sua identificazione con la Parola di Dio. Questo non è qualcosa di strano, infatti – i Padri dicevano, che il Salterio (come inoltre tutto l’Antico Testamento) racconta di Gesù Cristo.
Se consideriamo questo metodo della lotta contro le tentazioni vediamo che non si tratta dell’erudizione o di un discorso puramente intellettuale, ma del coinvolgimento integrale possibile solo per la persona che cerca di leggere e interpretare la sua vita nello specchio della Bibbia. Come farlo? Pian piano. Iniziando dalla meditazione quotidiana ma regolare almeno di un frammento biblico. Questi momenti possono diventare uno spazio sicuro e buono, una dimora dove ci ritroviamo in noi stessi nella nostra pace e identità. Pian piano le parole e i motivi biblici inizieranno a penetrare la nostra immaginazione, la nostra mente e il nostro cuore, introducendo non solo la pace ma anche offrendo l’esperienza della realtà primordiale e vera. Così, gradualmente, vedremo, che tutto il resto che ci circonda è solamente relativo, transitorio, non così degno da far sì che ce ne si occupi troppo. Nelle parole della Bibbia possiamo lavarci dalle sporcizie del mondo, guarire le nostre ferite e riposare dalle fatiche della vita quotidiana. E nei momenti critici trovare protezione e i mezzi per difenderci efficacemente. Ma, come è stato accennato sopra, nel contesto di Gesù, la difesa e rifugio nella Bibbia non sono il suo ruolo decisivo. Risultano dalla vicinanza intima con Dio che la Bibbia può sopratutto garantire al suo fedele lettore.