Cercando un libro sulla spiritualità ci si può imbattere in un testo dal titolo emblematico: “Promuovi il tuo business spirituale“. Nel mondo digitale in cui viviamo, del resto, ci si imbatte facilmente in proposte di attività spirituali ben pubblicizzate, spesso a carattere commerciale.
L’aspetto più intimo della nostra esistenza è diventato uno dei tanti servizi culturali e sociali, accessibili ovunque e rivolti quasi a tutti (ovviamente a un prezzo giusto). Ognuno può scegliere la proposta che più lo aggrada, oppure optare per diverse tipologie, creando così una propria dimensione spirituale. Anche noi cattolici, inutile negarlo, ci stiamo sottomettendo a questo trend. In tutto questo i social media vengono percepiti da molti come una vera e propria autorità religiosa e teologica.
Si determina quindi una dicotomia tra chi si rivolge a questi pratiche per mettersi in mostra e chi, invece, è realmente mosso dall’umile necessità di una scoperta interiore. Un tempo la spiritualità richiedeva silenzio, discrezione e pace: l’esatto opposto a quello che il mercato oggi propone. Ciò crea un ulteriore distorsione, diventata ormai standard: la sempre maggiore distanza tra il messaggio spirituale degno di essere trasmesso – il quale deve crescere nel silenzio e con pazienza – e l’atto stesso della diffusione.
Si deve comunicare, ma cosa? Oggi ognuno vuole insegnare ma nessuno ha tempo e voglia per imparare. Tanti desiderano scrivere e pubblicare i libri, ma sempre meno persone leggono. Quasi tutti vogliono essere maestri, quasi nessuno un discepolo.
Vale la pena ricordare che i veri maestri di spiritualità, i saggi santi, non aspiravano all’insegnamento. Al contrario, quando veniva loro chiesto di condividere il loro sapere si imbarazzavano e spesso si rifiutavano. Poniamoci allora un’altra domanda: quando inizia l’insegnamento? Solitamente erano le persone o i discepoli a chiedere di essere istruiti. Ma prima dovevano essere interessati a imparare e, dopo una lunga ricerca, trovare un docente cui rivolgersi.
Tutti i maestri (o presunti tali) dovrebbero seguire questo esempio: non esporsi e attendere che qualcuno chieda loro un insegnamento. Ma c’è ancora qualcuno che si mette alla ricerca di un maestro? Chi è in grado di resistere alle proposte che arrivano dal mercato, compreso quello spirituale?
Si tratta di un tema molto attuale, ma troppo spesso trascurato. Specie quando tentiamo di evangelizzare è necessario avere qualcosa di profondo da trasmettere: la nostra autentica esperienza di Gesù. Ma se investiamo tutta la nostra energia comunicativa nella ricerca di una platea riusciremmo a conservarne un po’ per quella spirituale?
La tradizione monastica ci insegna che il contenuto è più importante del contatto. Una cosa che oggi sembra impossibile. Ma è davvero così? Un valore spirituale avrà il suo “pubblico” senza aver bisogno di un’operazione di marketing? Una domanda che lasciamo aperta…