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Humanae Vitae: la libertà di sottomettersi alla verità

Nel 50esimo anniversario dell’Humanae Vitae sono tante le riflessioni dedicate ad interrogarsi sull’attualità di questa fondamentale Enciclica rivolta agli sposi cristiani. Si tratta sicuramente di uno dei più importanti documenti di Papa Paolo VI, la sua settima Enciclica, frutto di una riflessione profonda e complessa, che come tale necessita, per essere compresa e apprezzata nel suo grande valore, di un corretto inquadramento alla luce della fede. È per questa ragione che nel discorso della Montagna del Vangelo di Matteo si può trovare la chiave di lettura dell’Enciclica di Paolo VI. Si possono infatti leggere i tre capitoli di Matteo come una serie di prescrizioni severe, una legge così esigente che schiaccia, impossibile da attuare: oppure come una promessa, una chiamata a qualcosa di così grande che solo il Signore può realizzare proprio attraverso la nostra fragilità umana. Così, quando Gesù dice “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti, non sono venuto ad abolire ma per dare compimento”, parla di un dono, un regalo che si compie nella vita dell’uomo che confida in Lui. Così avviene nel matrimonio, vissuto alla luce della fede, come lo delinea Paolo VI.

Le più grandi difficoltà nella lettura dell’Enciclica nascono infatti da un approccio superficiale, che tende a considerare l’Humanae vitae solo come un documento morale o giuridico, che detta severe norme sulla vita matrimoniale. Paolo VI ha voluto ribadire per il matrimonio la dignità più alta, dove l’uomo e la donna sono, con la loro vocazione e attraverso la procreazione, collaboratori all’opera creativa di Dio. La chiamata alla santità degli sposi cristiani ha bisogno di traguardi di fede, non di un appiattimento verso il basso, ma di un’apertura alla realtà del Cielo: solo così si compie il Sacramento. Ecco perché in questa Enciclica troviamo per gli sposi un conforto e un’esortazione a vivere la loro chiamata nella fede, per scoprirne e testimoniare la fecondità dell’amore vissuto con Cristo: allora non conta più la legge ma la donazione, che è il “compimento della legge”, come ha mostrato Gesù, e quindi anche dell’amore coniugale. Alla radice delle tante crisi matrimoniali a cui assistiamo oggi, si trovano non solo la mancanza di fede ma la crescente banalizzazione del sacramento matrimoniale, non più vissuto come una vocazione, voluta e condotta da Dio.

Così la lettura dell’Humanae vitae diventa occasione per scoprire che attraverso il sacramento del matrimonio l’uomo e la donna non adempiono un dovere ma realizzano un desiderio nascosto nel loro cuore: alla Chiesa il compito di accompagnare gli sposi in questo meraviglioso cammino di santità. Come scrive Paolo VI è attraverso la fiducia nelle promesse di Cristo che gli sposi trovano il senso profondo della vita coniugale, non sempre facile: la fedeltà, la capacità di perdonarsi, la disponibilità alla volontà creativa di Dio. E sperimentano così la libertà più grande: quella di amare senza condizioni o regole. Ci risuonano così più che mai attuali le parole di San Giovanni Paolo II quando, nel 1982, affrontò il tema dell’Enciclica di Paolo VI nel suo discorso al II congresso Internazionale di Teologia Morale: “Uno dei profondi conoscitori del cuore umano, sant’Agostino, scrisse: ‘Questa è la nostra libertà: sottometterci alla verità’ (S. Augustini “De Libero Arbitrio”, 2, 13, 37). Cercate sempre la verità: venerate la verità scoperta; ubbidite alla verità. Non c’è gioia al di fuori di questa ricerca, di questa venerazione, di questa ubbidienza”.

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