Il problema della fede in Dio è il problema dell’esperienza di Dio. E – lo aggiungiamo, di fronte a tanti episodi di fanatismo religioso aberranti – è il problema dell’esperienza autentica di Dio vero.
Non c’è donna o uomo su questa terra che non abbia invocato il Cielo o riconosciuto un “passaggio” di un misterioso compagno di strada accanto a sé. Ma di qui ad una professione di fede esplicita c’è molta strada da fare, a volte il cammino sembra non iniziare neppure o non porta ad alcuna meta, ad alcun guadagno di senso: si interrompe dopo qualche passo maldestro. La circostanza provvidenziale, il gesto misericordioso che ci ha raggiunti, l’intuizione calda che ci ha fatti rivivere nel profondo e ha aperto un orizzonte di energie nuove, è smontata e ridotta a un ammasso inerte di cause – appurate o ipotetiche – che non ci tocca più nel nostro centro personale. Forse è stato tutto un sogno. O, peggio, un’allucinazione, da assunzione erronea della dose terapeutica di ciò che materialmente rinforza e riscalda il nostro sentire?
La tradizione benedettina per fare chiarezza offre l’esercizio della divina presenza. Essa parte dal fatto, attestato, che il Dio vero – che è buono – ha lasciato e lascia traccia di Sé per gli uomini. Ma occorre che il singolo si muova a riconoscerle decodificando il Suo linguaggio.
Non temere, è possibile decodificare i suoi segni.
Egli si è chinato verso l’umano, addirittura l’ha assunto. Il contesto dell’operazione è tutta la vita, si tratta di ripercorrere a livello di senso il moto del bambino svezzato. Guardalo per comprendere meglio la tua adultità.
Corre per la casa e nello spazio aperto, per esplorare ed assaporare ogni incontro: chi lo accudisce l’ha lanciato; però alle braccia di chi lo accudisce egli farà ritorno e gusterà di stare in esse.
L’esercizio della presenza di Dio parte dalle nostre potenzialità in atto e le riconduce, di tempo in tempo, alla loro origine: esso muove dalla consapevolezza che le energie e le nostre realizzazioni sono nostre, eppur non ci appartengono come cosa esclusivamente privata.
Non solo: muove dalla consapevolezza che quell’Origine ci fa anche partecipi della sua misteriosa fecondità senza confusione tra essa e il nostro sé.
Il Dio vero non è concorrente della mia libertà, l’ha voluta. Dio non è il rifugio in cui, grazie ad una fusione gratificante, curo le mie ferite. Può essere anche medico, ma è molto di più e mi apre alla dimensione “altra”. Non sono bambino/a incosciente, sono adulto/a, o chiamato ad esserlo, nella fiducia che c’è un rapporto e uno sguardo di pazienza che avvolge le mie strade e i mie passi.
Prova a mettere a tema in te stesso che, negli incontri e gli scontri nel tuo vivere, puoi scommettere su ciò che dura per l’eternità e dillo a Chi ti ha già toccato: recupera dentro di te il Volto e il Cuore e la presa delle mani buone di Chi ti parla e si china verso di te.
Annamaria Valli OSBap – monastero San Pietro, Montefiascone (VT); Istituto teologico viterbese aggregato all’Ateneo S. Anselmo (www.anselmianum.com)