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Cos’è la Transustanziazione

Cristo, si dice oggi da alcuni teologi ed esegeti, è risorto in modo tale che il suo corpo si è come smaterializzato in luce. Ma sul monte Tabor Gesù si presentò luminosissimo, e non era mutata la sua corporeità, e così è nella risurrezione. Lo stato di gloria, si dice, ha fatto si che il corpo risorto non sia più lo stesso di prima; cosa erronea perché la risurrezione ha sì glorificato il Corpo di Cristo, ma non ne ha mutata la realtà fisica di nato da donna (Gal 4,4).

Quando il corpo di Cristo passò attraverso il muro del cenacolo, essi dicono, lo fece in virtù della sua corporeità diversa, e non per mezzo del miracolo della compenetrazione dei corpi, come invece fu. Chiaro che costoro parlano di cielo quando trattano dell’ascensione al di Cristo, ma non dicono di più oltre l’espressione verbale. Non parlare di cielo come luogo è in pratica creare un contatto con quelli che pensano a un Cristo risorto in una materialità ineffabile di luce.

Lutero si fermò ad un solo passo da questa posizione, ma si potrebbe partire da Lutero per arrivare a tale posizione. Cristo, diceva il fondatore del protestatesimo, seguendo Guglielmo Occam e altri, nello stato di gloria ha acquistato quanto al corpo l’ubiquità, come la divinità. Con l’ubiquitarismo Lutero cercava di poggiare la sua concezione errata sulla presenza di Cristo nell’Eucaristia. In tal modo la sua concezione risulta una “impanazione” o, in termini più evoluti, una “consustanziazione”, cioè il pane e il vino rimangono tali. Più finemente, la “consustanziazione” indica che la sostanza del pane e del vino rimangono tali e si accompagnano, solo durante la celebrazione, con la sostanza, che è presente in modo spirituale (idea non specificata), del corpo e sangue di Cristo. Lutero rimaneva nella filosofia aristotelica della sostanza e degli accidenti, ma negando il mistero della “transustanziazione”, affermava che la sostanza rimaneva tale, e quindi il pane rimaneva pane e il vino rimaneva vino.

Lutero pensava Cristo alla destra del Padre, ma affermava che il suo corpo partecipa dell’onnipotenza di Dio e poiché l’onnipotenza divina si estende dunque, diventava ubiquitario, cioè presente ovunque, con accentuazione di presenza nella celebrazione eucaristica. Volle spiegare il mistero con la palese contraddizione di pensare a un corpo fisico che rimane tale e ha le sue dimensioni, ma che è come spalmato ovunque per l’onnipotenza divina ovunque, con un’accentuazione di presenza solo durante la celebrazione eucaristica, dove il pane e il vino non subiscono nessun cambiamento. Volendo scartare la “transustanziazione”, e volendo contrapporre un qualcosa di ragionato, Lutero cadde in una contraddizione palese. La “transustanziazione” invece rispetta il “misterium fidei”, non introducendo nella sua comprensione niente di illogico pur trattandosi di un balbettio di fronte al fulgore del mistero; si tratta del mistero della presenza di Cristo secondo il modo della sostanza, ma non assurdo; il pane e il vino non sono più tali, rimanendo solo gli accidenti, cioè le apparenze, sostenute in essere dalla potenza divina poiché non lo potrebbero mancando loro la sostanza a cui ineriscono. Lutero non rispettando il mistero della “transustanziazione” con la sua “consustanziazione” è giunto a una illogicità nettamente contraria alle parole: “Questo è il mio Corpo; questo è il mio Sangue”, poiché le trasforma in “questo pane contiene il mio Corpo” e “questo vino contiene il mio Sangue”; cioè l’impanazione, espressione molto delucidante il pensiero del monaco tedesco.

Un’altra pista di apertura all’ingresso di errore è l’idea che la Sindone sia il risultato di un piccolo big bang dove il corpo di Cristo si è trasformato in una radiazione di misteriosa luce alla quale si deve l’impressione del Sacro Telo. Tale idea ha preso piede tra i cristiani, non vigili, grazie ai mass-media. Chiaramente, se la Sindone è messa in relazione con il Vangelo una cosa del genere non è, data la realtà del corpo risorto. Se poi la Sindone non è messa in relazione con il Vangelo si dovrebbe dire che il corpo di qualche crocifisso, già morto, ha avuto un’esplosione misteriosa e unica di energia, e questo è difficile raccontarlo a qualcuno.

Credo invece che l’impressione della Sindone vada ricercata nell’effetto chimico dato dagli aromi di sepoltura unitamente all’acido urico accumulatosi nei tessuti per i reni non funzionanti, perché colpiti dai martelletti dei flagelli. (Questa considerazione l’ho colta dalle pag. 180-181 e 556 dei Quaderni del 1944 di Maria Valtorta, e la trovo convincente). Ora, la Sindone, adattata al corpo e fissata con fasce, e, ovviamente, con differenti distanze, fu segnata dall’essudazione dell’acido urico. L’acido urico si diffuse nello strato di aromi, reagendo con essi, giungendo al telo, dopo diverse distanze percorse, con variati esiti d’intensità: i punti di contatto con il corpo sono, infatti, i più scuri.

Cristo è veramente risorto, glorioso, con la sua carne e le sue ossa, ed è salito al cielo, e perciò bisogna dire che il cielo è sì stato di beatitudine, ma è anche un luogo. Senza parlare di luogo, nell’aldilà, diventa fatale, quando si parla di purgatorio e d’inferno, perché si viene ad avere un insieme di anime vaganti, che contraddice la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro, circa l’abisso che separa cielo e inferno (Lc 16,26): “Oltre a tutto ciò, fra voi e noi sta scavata una grande voragine, affinché chiunque voglia di qui passare dalla vostra parte non lo possa né di costì si venga a noi”.

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