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Cosa ci aspetta in Paradiso

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Per cielo o Paradiso si intende innanzitutto lo stato di beatitudine eterna nella visione immediata di Dio, secondariamente si intende un luogo, la casa del Padre pronta per i suoi figli, fin dalla fondazione del mondo (Gv 14,2); la dimora delle schiere angeliche (Cf. Gen. 28,10s; Mt18,10; Lc 2,13). La Scrittura, letta correttamente dal Magistero della Chiesa, ci dice che appena l’anima si separa dal corpo c’è il giudizio particolare (Qo 11,27; Lc 16,22; Eb 9,27). L’anima si trova subito alla presenza del Giudice, visto nello sua realtà di Verbo incarnato, nelle sue due nature (divina e umana) nell’unità della sua unica Persona, il Verbo. Il Giudice, se l’anima ha purificato se stessa nella forza della grazia di Dio e nella speranza di vederlo (1Gv 3,3), si esprimerà subito con l’accoglienza (Mt 25,21.23). L’accoglienza immediata è la formula del Giudice (Cf. Mt 25,34).

L’anima separata dal corpo, non è di una qualche tipo di materia, ma, appunto, è spirito, come sono spirito gli angeli; ne segue che non possono essere localizzate in un luogo come un corpo.. Tuttavia, l’anima separata, come l’angelo, non può esistere nel vuoto del nulla. Nel vuoto del nulla, cioè oltre l’immenso creato, esiste solo Dio, che è infinito. L’anima separata non può non essere in relazione con il creato, perché allora sarebbe un universo a sé, mentre non lo è, ontologicamente, perché creata per essere la forma sostanziale del corpo.
L’angelo è in relazione con il creato, è in relazione con gli uomini e le cose. Come uno spirito (anima o angelo) possa essere in concreto in un luogo è cosa impossibile da sapere per noi, qua in terra.

Il nostro desiderio di salire al cielo non è principalmente focalizzato nell’andare nella dimora celeste, ma di essere con Cristo (Fil 1,23), che è salito al cielo, e vedere Dio così come egli è (1Gv 3,2), “Faccia a faccia” (1Cor 13,12), non già come Mosè che parlava faccia a faccia ma ciò per la sua intima amicizia con Dio (Es 33,11.20), ma non vedendolo così come egli è. Il vangelo di Giovanni infatti ci attesta che “Dio, nessuno lo ha mai visto” (Gv 1,18). Che le anime vadano in cielo e stiano con Cristo attive nella lode e nel rendimento di grazie è fuori discussione. Paolo desidera lasciare il corpo per essere con Cristo (Fil 1,23), i santi in cielo pregano, ringraziano, lodano Dio (Ap 11,17). La visione immediata di Dio farà cessare la fede perché si vedrà, sospenderà la speranza perché già si è raggiunto e ottenuto, rimane la carità, poiché essa non avrà mai fine (1Cor 13,8).

Infatti senza la carità non ci sarebbe la beatitudine nella visione immediata di Dio.
Se si vedesse Dio in stato di chiusura, cioè senza amarlo, la visione di lui non sarebbe beatitudine, ma di lacerazione spaventosa, non perché vedere Dio comunichi lacerazione, ma perché essere in stato di chiusura, è essere deformi, irriconoscibili, e perciò respinti da Dio, che è Amore (Lc 13,25s). Non c’è posto per l’amore in un’anima satura di odio. Vedere Dio e amarlo è avere la vita eterna, che è partecipazione della vita di Dio. Nel tempo si ha la partecipazione nella fede, nell’eternità la si avrà nella visione. L’anima nel cielo sarà unita a Cristo e avrà la possibilità di vedere l’umanità di Cristo per mezzo delle species intellegibilis infuse da Dio, e vedrà, nella luce della visione beatifica, l’unità in Cristo delle due nature, umana e divina, nell’unica persona del Verbo. L’anima vedrà la realtà delle tre Persone, distinte tra di loro e in eterna relazione, une nell’unica Essenza.

Noi, in cammino verso la meta celeste, non possiamo andare oltre questo nell’indagine teologica. Cristo, infatti, (1Tim 6,16): “Abita una luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere”. In cielo vedremo Dio così come egli è, ma senza poterne abbracciare l’infinità; ciò non sarà un handicap poiché l’infinito di Dio è la fonte inesauribile del suo eterno amore. Si può ben dire che il paradiso è l’eterno nuovo; le ricchezze di Dio non si esauriranno minimamente mai, per tutta l’eternità.

La luce che eleva l’anima, poiché è non assolutamente possibile alla sua natura la visione dell’Essenza, è chiamata dai teologi “lumen gloriae”. Tale “lumen gloriae” ha riferimenti nella Scrittura. (Ps 35,10): “Nella tua luce vedremo la luce”; (Ps 55,13): “Così che io possa piacere a Dio nella luce della vita”; (Cf. Ap 21,23; 22,5). Il “lumen gloriae” è un’azione divina che investe l’intelletto il quale in tal modo vede Dio. Il “lumen gloriae” è una realtà creata, poiché se coincidesse con la stessa Essenza divina ci sarebbe panteismo, e ciò sarebbe profondamente erroneo, poiché sarebbe negata la trascendenza di Dio.

Il “lumen gloriae” non abolisce l’espressione intellettiva dell’anima, ma non dà all’intelletto una species (forma, immagine) intellegibilis, poiché nessuna immagine può rappresentare Dio come egli è. Come avvenga tale operazione altissima, è insondabile, tuttavia è desiderata già sulla terra. Giobbe diceva (19,26): “Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro”. Così il salmo ( 42/41): ”L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente; quando verrò e vedrò il volto di Dio?”. Il desiderio di vedere Dio è affiancato, qua in terra, dall’avvertimento che nessuno può rimanere in vita vedendo Dio (Gn 32,31). Tale pensiero è comprensibile perché se a noi, qua in cammino, ci fosse dato il “lumen gloriae” avremmo un tale sobbalzo dell’anima che il corpo non potrebbe reggere: solo il corpo risorto e glorioso potrà reggere.

Cristo nel suo cammino su questa terra aveva nella sua anima la visione beatifica (Gv 3,13), ma tale visione, in armonia con la sua realtà di Verbo incarnato, era anche in armonia con la sua missione; missione stabilita nella kenosis (Fil 2,6-8), cioè abbassamento, svuotamento, annichilazione, per cui Il Verbo faceva si che la beatitudine non ridondasse sul suo corpo. Il desiderio di rivedere i propri cari in cielo sarà soddisfatto, perché si vedranno. La parabola del ricco epulone e di Lazzaro ci dice di sì. Lazzaro e il ricco epulone si videro e l’epulone e Abramo si parlarono. Vedremo e comunicheremo con i nostri cari perché Dio infonderà in noi la capacità di farlo, il come avviene è un mistero, noi parliamo di infusione di species intelligibilis, ma il mistero rimane. Va notato che nella parabola del ricco epulone e di Lazzaro non c’è ancora la visione beatifica di Dio, per cui non si può ricorrere a questa, mai personaggi comunicano.

In cielo i santi ascoltano le nostre preghiere, perché intercedano presso Dio. Nella liturgia celeste presentata dall’Apocalisse si ricava la presenza delle preghiere dei santi (Ap 5,8; 8,3-4). I santi in cielo pregano in Cristo, con Cristo, per Cristo, per noi: questa è la comunione dei santi che abbraccia la Chiesa trionfante, purgante e militante.

La preghiera non è informare Dio, poiché egli vede bene ciò di cui abbiamo bisogno, ma è azione d’amore e d’umiltà, che riconosce la necessità dell’intervento di Dio: amore e umiltà sono essenziali nel cammino terreno, ma restano nella gloria del cielo, e sono la sorgente dell’alleluia eterno a Dio. Senza la preghiera ci sarebbe l’inerzia che aspetta che tutto faccia Dio, ma sarebbe delusione per i santi che Dio non li avesse inclusi nell’economia della salvezza. Non erano esclusi in terra (Col 1,24-25), e non sono esclusi in cielo. Dal momento che i santi pregano per noi vuol dire che in cielo conoscono, in Dio, le nostre necessità, le nostre preghiere.

E’ per noi misterioso come un santo possa ascoltare le preghiere di molti e molti oranti che pregano insieme e nello stesso tempo singolarmente (si pensi alle moltitudini che invocano Maria). Misterioso è questo, e perciò dobbiamo fermarci altrimenti diremmo e diremmo, e alla fine non avremmo detto niente; ci basta sapere che in Dio questo avviene, e la Chiesa non nutre il minimo dubbio. Se si vuole dire di più è che i santi vedono nell’Essenza divina le nostre situazioni e preghiere. Vedere l’Essenza divina non vuol dire vedere tutto di Dio, ma solo quello che Dio vuole che si sappia, e Dio vuole che i santi conoscano le nostre preghiere. Gli angeli vedono l’Essenza, ma ignorano, ad esempio, il tempo della fine del mondo (Mt 24,36).

In cielo tutti vedono Dio così come egli è, tuttavia con diverse capacità di ricevere la sua accesissima azione d’amore. Chi ha corrisposto con generosità sulla terra sarà capace di ricevere più amore di chi ha corrisposto meno. Non dipende da Dio, ma dall’apertura che l’anima ha raggiunto nel tempo, mediante la carità, che è il vincolo della perfezione (Ef 3,14), a ricevere lo splendore della Luce, che è Dio. La comunione dei santi, tuttavia, fa si che chi ha maggiore capacità di accogliere lo splendore della Luce, illumini i fratelli che ne hanno di meno, poiché l’amore è servire la gioia degli altri, ed è gioia anche ricevere dagli altri.

Paolo Berti: