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Come il chicco di grano

Il brano del Vangelo di questa quinta domenica di Quaresima, tratto da Giovanni, si ambienta nel contesto della festa della Pasqua, che si teneva a Gerusalemme. In questa occasione tutti solevano raccogliersi nella capitale per celebrare il momento liturgico più importante dell’anno e fondamentale per la fede ebraica.

I Greci che erano saliti per il culto erano ebrei provenienti dalla diaspora, ovvero condividevano la stessa fede dei Giudei pur vivendo all’esterno della Palestina. Evidentemente la fama di Gesù doveva essersi diffusa ben oltre i confini della Galilea e della Giudea, vista la richiesta esplicita da parte di questi forestieri: “Vogliamo vedere Gesù”. Tale richiesta, lungi dall’essere una semplice manifestazione di curiosità, ha un valore simbolico. Molti studiosi e commentatori della Sacra Scrittura vi vedono un riferimento ad alcuni testi del Primo Testamento, in particolare a Is 2,2: “Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s'innalzerà sopra i colli, e ad esso affluiranno tutte le genti” e Is 52,10: “Il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti a tutte le nazioni; tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio”. Sono testi in cui si afferma che la salvezza offerta da Dio nei tempi messianici non è riservata esclusivamente al popolo di Israele, ma a tutti i popoli.

Dunque i Greci menzionati nel Vangelo rappresentano l’umanità intera, cui è destinata la salvezza, e il loro desiderio di vedere Gesù (“Dio-Salva”) è proprio l’espressione della loro volontà di ottenere tale salvezza. La risposta di Gesù a Filippo rende chiaro il “come” si viene salvati: ciò è la conseguenza del mistero pasquale di morte e resurrezione di Gesù, (“l’ora” della glorificazione, della “elevazione” coincide, in Giovanni, con la “morte del chicco di grano” che produce molto frutto) ma comporta un impegno, da parte del credente, a compromettersi con tale mistero, riproducendolo nella propria vita.

Anche noi siamo dunque invitati a “morire” come il chicco di grano e a “odiare la nostra vita in questo mondo per conservarla per la vita eterna”; espressioni che, in ultima analisi, significano l’esigenza di porsi al servizio del Cristo (“chi mi vuol servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore”). L’“elevazione”, ovvero la partecipazione alla pienezza di una vita redenta, “glorificata” a immagine della vita del Cristo, qui ed ora, ci è garantita nella misura in cui ci dedichiamo ai nostri impegni quotidiani con un’attitudine di umile servizio, facendo tutto “di cuore, come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che come ricompensa riceveremo dal Signore l’eredità” (cfr. Col 3, 23-24).

don Paolo Intendente

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