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I leader farfalla

E così Luigi di Maio si è dovuto dimettere. Ma era scritto da tempo che sarebbe andata così. Vicepresidente del Consiglio, arciministro del welfare, lavoro e sviluppo, capo ufficiale del movimento 5 stelle, a distanza di quasi 20 mesi dall’ingresso dalla porta principale della “stanza dei bottoni”, ha dovuto buttare la spugna, e tuttavia rimane ministro degli Esteri. Ma aldilà dei suoi meriti e demeriti, non poteva che essere trascinato dagli eventi, verso il rito tribale dell’agnello sacrificale. Aveva dovuto assistere e compiere troppe decisioni ed opere in contrasto con la narrazione grillina originaria, e a presiedere un movimento che dopo aver raggiunto le vette del consenso, rapidamente ha dovuto conoscere l’acre sapore delle sconfitte elettorali.

Questi bruschi cambiamenti, in un ambiente di neofiti della politica, ha avuto effetti di delusioni terribili, naturalmente ha indotto il dibattito interno verso un segno di cambiamento da dare immediatamente, per limitare il più possibile gli effetti del consenso fuggito: di parlamentari persi, di una linea difficile da avere come realtà politica che intende avere voce in capitolo nelle istituzioni repubblicane. Penso che difficilmente il M5s, d’altronde come altre forze politiche populiste, riuscirà a conservare la forza che nei momenti migliori ha dato l’impressione di poter diventare duratura e lungamente vittoriosa. La storia è maestra: una formazione politica che chiama la gente all’impegno per il governo degli affari pubblici, o lo fa con una visione completa della società che vuole realizzare, con una filosofia profondamente condivisa dagli aderenti al punto da rendere naturale la scala delle cose più importanti che riguardano gli interessi generali, oppure si soccombe.

Da che mondo è mondo, i partiti populisti nascono dalle ceneri dai grandi errori di chi ha governato, e facilmente con la promessa di onestà, di eguaglianza, e di benessere, riescono a guadagnare consenso, fino ad arrivare al governo. Ma come si sa, altra cosa è governare; riuscire a tenere in piedi la coesione sociale, insieme ai conti economici ed al governo della complessità delle società moderne. La caduta è molto facile in quanto, in assenza di una visione filosofica unificante, alle prime sfasature, tra ciò che si è narrato e quello che si è realizzato, incomincia rapidamente lo sfarinamento . Non bastano dunque le promesse di onestà e di giustizia per governare. Chiunque direbbe le stesse cose; bisogna poi vedere se poi si dispone di quella forza straordinaria ordinatrice che può venire solo da soggetti che non si affidano ai leader singoli o a parole d’ordine semplici.

Insomma il governo della complessità non può che farsi dalla partecipazione attiva dei cittadini incardinati da un pensiero lungo e quindi capace di superare le alte onde delle tempeste delle decisioni di governo difficili, come il tener a bada gli immancabili personalismi, che proliferano proprio in assenza di “politiche alte”. Penso che per questa ragione i leader di questo tempo che viviamo, hanno la vita breve della farfalla. Dunque, se non si risale alle ragioni profonde delle difficoltà che si hanno, sarà rovinoso affidare ogni speranza alla correzione degli effetti. Per questi motivi, potrà essere anche cambiato Di Maio, ma in assenza degli elementi basici di una politica fondata sulla roccia, il risultato rovinoso sara comunque assicurato. 

 

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