Scoperto in fondo al mare il corpo di una migrante abbracciata al suo bimbo

Migranti

Rimarranno in fondo al mare, intrappolati nella carcassa di una imbarcazione di migranti colata a picco di fronte alle coste del Libano, i corpi di trenta migranti (quasi tutti donne e bambini), naufragati lo scorso maggio. Tra questi, anche quello di una giovane donna e del suo bambino piccolo tenuto stretto in braccio fino alla fine.

I due corpi, ancora uniti, sono stati avvistati incastrati in un oblò dai soccorritori. Il loro è stato il ritrovamento più straziante – ed emblematico – delle operazioni di soccorso degli oltre 30 corpi di migranti libanesi e siriani annegati quattro mesi fa dopo aver tentato un “viaggio della speranza” verso le coste italiane.

Il sogno spezzato

“C’era una donna giù in fondo, il cui corpo è rimasto incastrato a metà fuori da un oblò, mentre teneva in braccio suo figlio… ci ha spezzato il cuore“, ha raccontato il ritrovamento Tom Zreika, uno dei soccorritori, citato stamani dai media libanesi.

Ma l’operazione di soccorso non è riuscita e si è conclusa senza il risultato sperato: recuperare i cadaveri. I corpi dei migranti dunque non verranno restituiti ai familiari.

Il naufragio dell’imbarcazione di migranti

Il 24 aprile scorso l’imbarcazione che trasportava più di 85 migranti affondò a Nord del Libano in circostanze ancora da chiarire dopo un contatto con una motovedetta della marina militare libanese.

Una quarantina di persone, per lo più donne e bambini, rimasero intrappolate nell’imbarcazione e non riuscirono a mettersi in salvo. Le operazioni di recupero, cominciate nei giorni scorsi sotto il formale coordinamento della Marina militare libanese, sono stare organizzate con mesi di ritardo da una iniziativa privata, con una raccolta di fondi gestita in parte da una rete di familiari delle vittime, presenti per lo più in Australia.

Dopo alcuni tentativi, durante i quali i resti di alcune persone sono stati portati in superficie disfacendosi sotto gli occhi dei soccorritori a causa della lunga permanenza in mare, la marina libanese ha informato l’organizzazione non governativa australiana AusRelief dell’impossibilità di continuare per non meglio precisati “rischi di sicurezza”. I circa 30 corpi non recuperati, tra cui quello della giovane donna e di suo figlio, sono quindi destinati a rimanere in fondo al mare, senza una degna sepoltura. Eterno emblema della tragedia che si nasconde dietro ai cosiddetti “viaggi della speranza”. Sempre il 24 maggio scorso, davanti alla Libia, naufragò anche un’altra piccola imbarcazione in cui morirono altri 4 migranti.

Milena Castigli: