Saman Abbas, la 18enne pachistana, sarebbe stata uccisa dalla famiglia. Cinque gli indagati, tra cui il presunto esecutore materiale: lo zio, lo stesso che ha indicato dover era sepolto il corpo della giovane. Il padre è stato arrestato in Pakistan per frode lo scorso 16 novembre. La madre è ancora latitante.
Saman: ancora un rinvio per il padre in Pakistan
Nuovo rinvio per Shabbar Abbas in Pakistan, alla corte distrettuale di Islamabad. L’udienza del padre di Saman, accusato dalla Procura e dai carabinieri di Reggio Emilia di aver ucciso la figlia 18enne insieme a quattro familiari a Novellara, è stata infatti aggiornata al 10 gennaio. A quanto risulta non era presente in aula il difensore dell’indagato, arrestato un mese fa nel Punjab e poi trasferito a Islamabad. L’Italia ne ha chiesto l’estradizione e a margine dell’udienza odierna un funzionario del ministero dell’Interno pachistano ha prodotto informazioni scritte.
Secondo quanto si apprende l’udienza per l’estradizione di Shabbar si è regolarmente tenuta. Non si è trattato cioè di un rinvio per un nulla di fatto, ma di un aggiornamento ad un’altra data per continuare a trattare il caso.
Saman: si lavora agli esami su ipotesi strangolamento
Gli esami istologici che saranno svolti nei prossimi giorni, dopo l’autopsia sul corpo di Saman Abbas, saranno volti a confermare che la morte della ragazza è avvenuta per strangolamento e quindi per asfissia. E’ questa, a quanto si apprende, l’ipotesi di lavoro degli anatomopatologi del laboratorio Labanof dell’Università di Milano. Sul corpo non sono state trovate tracce di sangue, quindi è esclusa la possibilità di una morte dovuta a ferite da armi da taglio.
Un’altra cosa sulla quale ormai non c’è più nessun ragionevole dubbio è che il corpo trovato il 18 novembre nei pressi di un casolare di Novellara, a poca distanza da dove la famiglia viveva, sia effettivamente della ragazza.
A confermarlo dovrà essere l’esame del Dna, ma dall’autopsia sono arrivati ulteriori dettagli che confermano che quel corpo è il suo. Come ha riferito l’avvocato Barbara Iannuccelli, legale dell’associazione Penelope che si è costituita parte civile, aveva addosso i jeans sfilacciati al ginocchio e gli stessi vestiti visti nel video ripreso dalle telecamere di sorveglianza poco prima della sua scomparsa. Aveva ancora una cavigliera, come quella dei video che lei stessa aveva pubblicato sui social, un braccialetto colorato, un paio di orecchini e una folta chioma di capelli.
L’autopsia del 10 dicembre è, di fatto, solo il primo step di un esame molto complesso che dovrà essere compiuto al Labanof e che approfondirà le tracce sugli organi e sui tessuti. La Corte ha fissato, il 23 novembre scorso durante l’udienza di conferimento, in 60 giorni il termine ultimo per i risultati: ci sarà tempo, quindi, fino alla seconda metà di gennaio per fornire delle conclusioni che entreranno nel dibattimento.
Il 10 febbraio, invece, comincerà il processo a Reggio Emilia. Cinque gli imputati: lo zio Danish Hasnain, i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq (tutti e tre in carcere), il padre Shabbar Abbas (arrestato un mese fa in Pakistan, dove si è in attesa dell’udienza che decida sull’estradizione) e la madre Nazia Shaheen (ancora latitante in patria). Devono tutti rispondere di omicidio premeditato in concorso, sequestro di persona e soppressione di cadavere.
Fonte: Ansa