Trecentonovantadue partite in carriera con la Lazio e una passione mai spenta, nemmeno dopo l’addio al calcio. Pino Wilson continuava a commentarne in radio le partite e a esserne tifoso, ne parlava nei talk e la viveva nella sua città d’adozione. Lui, nato in Inghilterra e cresciuto a Napoli, diventato uno dei simboli calcistici di Roma. Almeno per la sponda biancoceleste. Un ictus lo ha portato via a 76 anni, solo qualche ora dopo la vittoria della sua Lazio contro il Cagliari, in cui Ciro Immobile ha raggiunto il record di reti in maglia laziale, da oltre mezzo secolo appartenente a Silvio Piola. Con Wilson se ne va un altro pezzo della compagine che, a metà anni Settanta, stupì l’Italia conquistando il suo primo scudetto. Una squadra affascinante, guidata dalla mano di Tommaso Maestrelli e dai gol di Giorgio Chinaglia.
Capitano dello Scudetto
Di quella Lazio Wilson era il capitano e uomo simbolo. Forse, per certi versi, più dello stesso Long John. Libero vecchi stampo, diventato progressivamente un interprete moderno del ruolo. Un regista arretrato, capace di prestazioni tali da guadagnarsi la chiamata allo sfortunato Mondiale tedesco del ’74. Con lui, oltre a Chinaglia, c’era anche Luciano Re Cecconi. Il primo di quella Lazio ad andarsene, in modo tragico, nel 1977. Anche Re Giorgio (con cui condivise l’esperienza american ai New York Cosmos) se ne è andato da tempo, così come gli altri compagni Pulici, Mazzola, Frustalupi, Fracco, oltre allo stesso Maestrelli.
Wilson tifoso
Con Wilson, però, i tifosi della Lazio danno l’addio a quella che era probabilmente la loro prima identificazione in campo durante tutti gli anni Settanta. A lui si rivolsero il 28 ottobre del 1979, quando un razzo sparato da curva a curva colpì e uccise il tifoso Vincenzo Paparelli, poco prima dell’inzio del Derby contro la Roma. Emblematica la foto che lo ritrae di fronte a due tifosi, nei concitati momenti in cui si sparse la notizia nello stadio. In un’intervista rilasciata a In Terris qualche anno fa, raccontò di pensare spesso e con rammarico a quella partita. E raccontò anche del lato spirituale della sua Lazio scudettata, rappresentato dalla figura di padre Lisandrini: “Eravamo soliti recarci alla messa che celebrava alle 10 e un quarto della domenica. Per noi è stato un punto di riferimento assoluto”.