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La storia di Teresa: una testimonianza di grande fede

Don Maurizio Patriciello condivide con i lettori la storia di Teresa, una donna che ha saputo mantenere salda la sua fede nonostante le avversità

Don Mauricio Patriciello, autore di questo articolo, ci condivide una storia “tessuta nel cuore di Dio, affidata alle nostre mani e alla preghiera”. In questo racconto emerge la forza della fede di una donna che non ha mai lasciato la mano di Dio nonostante le grandi prove che la vita le ha messo di fronte. 

Teresa, le nozze sfumate, la malattia, il dono della vita

La notavo ogni domenica alla Messa di mezzogiorno. Sedeva sempre in uno degli ultimi banchi a destra dell’Altare, spesso accompagnata dall’anziana mamma o dalla sorella. Una ragazza bella, dalla voluminosa chioma riccioluta. Poi scompariva per il resto della settimana.

Si presentò, si chiamava Teresa, veniva da un’altra parrocchia, lavorava a Caserta. Era fidanzata, ma a Messa non veniva con il suo ragazzo. Mi disse che stavano pensando al matrimonio. Non passava inosservata, aveva una personalità forte e risoluta, un carattere da fiera donna meridionale, lontana mille miglia dalla schiera dei piagnucoloni.

Con la Prima domenica di Avvento diamo inizio al corso di preparazione al matrimonio. Teresa arriva, finalmente, insieme al fidanzato. Si chiama Carmine, come lei è un giovane riservato e discreto. Oserei dire, timido. Come la maggior parte dei maschi, durante gli incontri, non prende la parola, non esprime pareri, non contesta né approva. Ascolta. Sono quasi sempre le donne a suscitare dibattiti. Teresa e Carmine sono tra le coppie più presenti; arrivano, ogni domenica pomeriggio, prima dell’incontro, mi aiutano a sistemare la sala, e restano, poi – cosa che non tutti fanno – per la Messa della sera.

Un tantino diffidente all’inizio, lentamente, anche Carmine si apre. Inizia tra noi un dialogo che va al di là dei temi strettamente matrimoniali. Da “fidanzato di Teresa” assume una propria identità. Quando il lavoro glielo consente, si fa vedere anche durante la settimana, anche senza la fidanzata. Mi cerca. Facciamo lunghe chiacchierate. Si parla di attualità, di politica, dei problemi del nostro Paese, di religione. Capita anche di andare, qualche volta, a mangiare una pizza insieme.

La primavera sta consumando i suoi ultimi giorni, l’estate è ormai alle porte. Il giorno del matrimonio si avvicina, i preparativi fervono. Sono fiero di loro, penso in futuro di coinvolgerli nella pastorale parrocchiale. La presenza di Carmine diventa sempre più assidua, i discorsi si fanno sempre più profondi. Si parla della bellezza della famiglia – piccola Chiesa domestica –, dei problemi che affronta, dei figli che arrivano e portano gioia e preoccupazioni. Si discute della fede, della preghiera, della vita spirituale, di Dio, della vocazione alla quale ognuno deve rispondere.

Da parte mia insisto sulla vocazione al matrimonio. Lui, lo sposo, non ricusa di fare domande sul sacerdozio. Solo curiosità? In cuor mio, lo spero. Uomo di poca fede quale sono, penso di avere intuito qualcosa che non mi fa piacere ammettere. Voglio troppo bene a Teresa. So che, se dovesse accadere quel che temo – come già altre volte – seguirà per me un periodo difficile. Inizio – come sempre mi accade quando in ballo c’è il destino delle persone – ad avere paura. Prego. Chiedo luce. Mai ho tentato di spingere questo giovane a imboccare la strada del sacerdozio. Al contrario. I segni, però, sono sempre più chiari; la fatidica data sempre più vicina. Teresa è contenta che il suo ragazzo mi sia diventato amico. A mia volta sento di tradire la fiducia di questa donna bella ed elegante che ha grande fiducia in me. Sono nei guai. Un pulcino nella stoppia. Carmine non è più il ragazzo imbarazzato dei mesi precedenti. Vuole capire, domanda, legge, prega, si confronta. Si sente scombussolato. Non sa dare un nome all’inquietudine che lo abita. Inizia a parlarne con Teresa. Lei, donna di fede, capisce. Lo aiuta. Accetta di rimandare il matrimonio. Disdicono gli impegni presi. Gli dà tempo per fare luce dentro di sé. Poi, si arrendono. Si lasciano. Lui va per la sua strada. Lei rimane sola. Io mi sento come svuotato. Trovo pace in uno scritto di Edith Stein: «Non sappiamo e non dobbiamo chiedere prima del tempo dove ci vuole condurre su questa terra il Figlio di Dio. Sappiamo solo questo: che per coloro che amano il Signore, tutto si volge al bene».

Carmine parte per una congregazione religiosa. Teresa rimane a Caivano. Temo che non verrà più nella nostra parrocchia. Invece, eccola là, al suo posto, come sempre. E mi vuole sempre bene. «Teresa – le chiedo – come fai a volermi ancora bene? Tu dovresti avercela con me. In qualche modo sono anch’io responsabile del fallimento del tuo matrimonio». «No, padre. Se questa era la volontà di Dio, è stato meglio così», risponde sorridendo.

Passano gli anni. Carmine è sacerdote. Fa di tutto per non incontrare l’ex fidanzata, quando accade diventa rosso come il peperone. Se è costretto a celebrare in sua presenza, si imbarazza fino a farfugliare. Lei, no, è più serena e sicura di sé. Mi aiuta nelle opere di carità. Da Caserta, dove lavora, raccoglie e mi porta offerte per i miei poveri, mi accompagna e mi sostiene nella lotta ambientale che tanti danni sta facendo alla nostra terra. Come tutti noi è arrabbiata e addolorata per le moltissime persone che si ammalano e muoiono di cancro. È rimasta sola, con la mamma, Teresa. Un giorno viene a inginocchiarsi davanti a me per la confessione. Con grande serenità mi dice: «Padre Maurizio, ho il cancro». La guardo incredulo. Mi gira la testa. Ancora? Ancora? «Che dici, Teresa? Stai scherzando, vero?». No, non sta scherzando. E ha inizio la battaglia. Una battaglia da me già vissuta decina di volte e che poche volte è giunta alla vittoria.

La chemioterapia la segna pesantemente, ma ancora non riesce a rubarle il sorriso e la speranza. L’antica chioma è ormai un ricordo, una pietosa parrucca ne ha preso il posto. Lotta, si aggrappa alla vita, Teresa. Il pensiero di lasciare sola la mamma la devasta. L’ha sempre chiamata “la mia cucciolotta”.

Le cose precipitano. Si aggrava. Entra in coma. Una sera – è ritornato il bel tempo di Avvento – squilla il telefono. Corro. La sua casa è già addobbata per il Natale. L’albero, le palline colorate, i fili d’oro e le lucine accese mi mettono addosso una tristezza immensa. Nel suo letto Teresa mi appare come un uccellino senza piume. Che tenerezza. Il morbo l’ha consumata. La chiamo, non sente. Le accarezzo il volto, non vede. Le chiedo, in cuor mio, ancora una volta, perdono per averla fatta soffrire.

Suonano alla porta. È don Carmine. Sale le scale di corsa. Gli corro incontro. È scosso. Ha saputo che il suo vecchio amore sta morendo. Occorre fare presto. Bisogna donarle l’Unzione degli infermi. «Vai tu, Carmine. Vai a consegnare Teresa nelle braccia misericordiose del buon Dio». Carmine si fa forza. Appoggia le sue mani consacrate sulla fronte di Teresa: «Per questa santa unzione e la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo. E liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua bontà ti sollevi».

Poche ore dopo, Teresa, è libera. Conservo gelosamente il suo ultimo messaggio: «Padre, siete la mia stella cometa». Hai combattuto la buona battaglia, Teresa, hai conservato la fede. Hai vinto. Adesso, vola! Vola per i cieli infiniti, i tempi eterni. E dal cielo continua a volerci bene.

Articolo a firma di don Maurizio Patriciello pubblicato su Avvenire

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