“Il recente dato OMS secondo cui ‘un prigioniero su tre in Europa soffre di disturbi mentali’ mi pare sovrastimato per l’Italia. Bisogna innanzitutto capire cosa intenda di preciso l’Organizzazione Mondiale della Sanità quando parla di ‘disturbi mentali’. Che ci sia una persona su tre in carcere che abbia una malattia mentale per quel che riguarda l’Italia mi sento di escluderlo”.
E’ questo il commento a Interris.it della dottoressa Daniela de Robert, componente del Collegio dell’Autorità Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, in merito al rapporto dell’OMS sulla salute mentale in carcere. Lo studio è stato prodotto prendendo in analisi 600mila persone recluse nelle carceri di 36 paesi dell’Unione Europea. Secondo i dati OMS, il 32,6% dei reclusi soffre di disturbi di salute mentale [mental health disorders, ndr] e la causa più comune di morte è il suicidio, con un tasso molto più alto rispetto alla comunità esterna.
In merito a quest’ultimo aspetto, la dottoressa Daniela de Robert ha commentato per Interris.it l’ultimo rapporto prodotto dall’Autorità intitolato “Per un’analisi dei suicidi negli Istituti penitenziari”. Oggi le abbiamo chiesto un’analisi in merito alla presenza di malattie mentali e disagi psico-sociali nelle carceri italiane.
“Da sempre il carcere è un luogo che accoglie persone con disagio psico-sociale”, spiega la dottoressa de Robert. “Se parliamo di disturbi comportamentali e di disagio psico-sociale, i numeri sono certamente molto alti. Ma se parliamo di malattia mentale abbiamo dei dati certi relativi alle articolazioni per la salute mentale in carcere”.
Cosa sono le articolazioni per la salute mentale in carcere?
“Il vigente ordinamento penitenziario, nello specifico il regolamento di esecuzione D.P.R 230/2000 agli artt.111 e 112, prevede la possibilità di assegnare detenuti affetti da patologie psichiatriche in sezioni speciali, oggi denominate ‘articolazioni per la salute mentale’, volte a garantire servizi di assistenza rafforzata per rendere il regime carcerario compatibile con i disturbi psichiatrici. Tali reparti sono destinati a condannati o internati che sviluppino una patologia psichiatrica durante la detenzione o a condannati affetti da vizio parziale di mente, e si prevede che la permanenza nelle suddette sezioni non debba essere superiore a trenta giorni. Lo scopo formale è quello di garantire a questi soggetti un’attività di tipo terapeutico e riabilitativo in maniera continuativa e individualizzata”.
Quali sono i dati relativi alle articolazioni per la salute mentale in carcere?
“I dati relativi alle articolazioni per la salute mentale sono stati presentati all’ultima relazione in Parlamento e sono aggiornati ad aprile 2022 (mentre siamo ancora in fase di raccolta per il 2023). Si tratta di 232 persone su 56mila detenuti. Nello specifico, queste sono le persone che risultano ricoverate in un reparto di articolazione per la tutela della salute mentale all’interno degli istituti carcerari. Sappiamo che le articolazioni sono poche e non sempre ben funzionanti. Ciò premesso, pur pensando la cifra per difetto, parliamo di una percentuale lontanissima da ‘1 recluso su 3’ denunciato dal rapporto OMS. Infatti, si tratta di 1 persona con malattia mentale ogni 240 reclusi”.
“Anche considerare come ‘persone con patologie psichiatriche dichiarate’ chiunque faccia uso di psicofarmaci non è un corretto né realistico criterio di conteggio. Ad esempio, i detenuti con tossicodipendenza fanno largo uso di psicofarmaci. Ma questo non implica che soffrano di una patologia psichiatrica. Sarebbe dunque necessario capire cosa l’OMS intenda di preciso per mental health disorders“.
“La preoccupazione mia, come membro del collegio dell’Autorità Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, è di non psichiatrizzare tutto il disagio presente nelle carceri. E’ certamente vero che in carcere c’è un forte disagio e ci sono tante problematiche di tipo psichico, comportamentale, sociale e che non sempre si riesca ad affrontarle in maniera adeguata. E’ presente infatti un disagio diffuso che è necessario prendere in carico. Non solo dagli psichiatri (poiché molti disagi comportamentali non sono materia psichiatrica) ma, ad esempio da altri professionisti come gli psicologi. Inoltre, per il disagio psichico o psicosociale è necessario attivare oltre al supporto psicologico, anche una terapia riabilitativa e un’accompagnamento mirato. E questo necessita di investimenti mirati. Attenzione, dunque, a non psichiatrizzare tutto il disagio presente nelle carceri”.