Una locale di ‘ndrangheta radicata a Roma è stata smantellata dalla Direzione investigativa antimafia (DIA) durante una maxi operazione denominata “Propaggine” che ha portato a 43 misure cautelari.
Gli elementi sono accusati di far parte di una ‘ndrina radicata nella capitale e finalizzata ad acquisire la gestione e il controllo di attività economiche in svariati settori, nello specifico: ittico, panificazione, pasticceria, del ritiro delle pelli e degli olii esausti.
Operazione “Propaggine”
L’organizzazione, secondo quanto riferito dagli inquirenti riportati da Ansa, faceva poi sistematicamente ricorso ad intestazioni fittizie al fine di schermare la reale titolarità delle attività.
Inoltre, secondo quanto emerso dalle indagini sviluppate dal Centro operativo Dia di Roma l’organizzazione si proponeva anche il fine di commettere delitti contro il patrimonio, contro la vita e l’incolumità individuale e in materia di armi, affermando il controllo egemonico delle attività economiche sul territorio, realizzato anche attraverso accordi con organizzazioni criminose omologhe.
L’operazione della Direzione Investigativa Antimafia è avvenuta a Roma e a Reggio Calabria. A Reggio Calabria le misure sono state emesse all’esito del coordinamento investigativo con la Direzione distrettuale antimafia di Roma.
A Roma cosca guidata da due boss di Casoleto
Da quanto emerge dall’indagine della Dda della Capitale e Dia, coordinata dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò, la ‘ndrina locale era formata da una diarchia che operava a Roma da alcuni anni dopo avere ottenuto il “via libera” dalla casa madre in Calabria. A capo della struttura criminale c’erano Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro, entrambi appartenenti a storiche famiglie di ‘ndrangheta originarie di Casoleto, centro in provincia di Reggio Calabria.
Le risultanze investigative hanno evidenziato come fino al settembre del 2015 non esistesse una “locale” nella Capitale, anche se sul territorio cittadino operavano numerosi soggetti appartenenti a famiglie e dediti ad attività illecite. Nell’estate del 2015 Carzo avrebbe ricevuto, secondo quanto accertato dagli inquirenti, dall’organo collegiale posto al vertice dell’organizzazione unitaria (la Provincia e Crimine) l’autorizzazione per costituire una struttura locale (‘ndrina) che operava nel cuore di Roma secondo le tradizioni di ‘ndrangheta: riti, linguaggi, tipologia di reati tipici della terra d’origine.
Il gruppo agiva su tutto il territorio di Roma con una gestione degli investimenti nel settore della ristorazione (locali, bar, ristoranti e supermercati) e nell’attività di riciclaggio di ingenti somme di denaro. Nei confronti degli indagati si contesta, tra gli altri, l’associazione mafiosa, cessione e detenzione di droga, estorsione e fittizia intestazione di beni.
I reati contestati agli arrestati, a vario titolo, sono l’associazione mafiosa, il favoreggiamento commesso al fine di agevolare l’attività del sodalizio mafioso e la detenzione e vendita di armi comuni da sparo ed armi da guerra aggravate.