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Come la Comunità Papa Giovanni XXIII combatte la povertà in Bangladesh

Una missionaria cattolica italiana dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII fondata don Oreste Benzi (APG23) racconta a Interris.it la dura realtà del Bangladesh, tra povertà e analfabetismo

“In Bangladesh la povertà è presente in molti settori della società civile. Fino a qualche decennio fa, il Bangladesh era il Paese più povero del Pianeta. Nel corso degli anni, la situazione è parzialmente migliorata, tanto che non figura più nella lista delle 30 Nazioni più povere del mondo. Questo arricchimento però non è arrivato nelle periferie né nelle zone rurali, dove povertà, lavoro minorile ed analfabetismo vanno di pari passo”. Lo racconta a Interris.it una missionaria cattolica italiana dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII fondata don Oreste Benzi (APG23) che ha operato per molti anni nel Paese asiatico a stragrande maggioranza mussulmana.

“La missione APG23 in Bangladesh è stata aperta nel 1999: i missionari vivono in un piccolo paese nel Sud Ovest del Bangladesh, non distanti dal confine con l’India. Nelle diverse strutture che negli anni sono state avviate, vengono accolti i bambini ed i giovani che studiano o lavorano ma che, perché disabili, orfani o in condizioni familiari poverissime, necessitano di un ambiente sano, protetto e familiare in cui vivere. Nelle realtà della missione abitano mussulmani, indù e cristiani. Ad ogni accolto viene data un’istruzione e, in seguito, una formazione professionale”.

“Il centro è dunque un luogo di primaria importanza dal punto di vista sociale. Infatti, ai nostri studenti noi offriamo anche un pasto quotidiano, dando alle famiglie più povere la possibilità di far sfamare i propri figli. Questo spinge le famiglie a mandare a scuola i bambini e i ragazzi – sia maschi che femmine – togliendoli dalle strade, dal possibile sfruttamento lavorativo minorile, dal matrimonio precoce (il cosiddetto fenomeno delle ‘spose bambina’ presente anche in molte altre Nazioni povere dell’Asia e dell’Africa) e da crimini ancora più gravi, quali lo sfruttamento sessuale (anche minorile), il traffico di esseri umani e il traffico di organi”.

“Come avveniva in Italia decenni fa, le famiglie contadine povere e numerose mandavano i figli e le figlie a lavorare nelle case di altri, come aiuto domestico o nei campi. Qui in Bangladesh questa pratica è ancora diffusa. A questi bambini è dunque negato il diritto allo studio e dunque la possibilità di un riscatto sociale. Inoltre, e questo capita spesso, fanno lavori troppo faticosi e pesanti per la loro età, come il tagliare le pietre, la raccolta nei campi, il trasporto di carichi pesanti. Oppure, le bambine povere vengono usate come ‘servette’ nelle case dei ricchi o vanno date in sposa a 10-12 anni”.

“Anni fa, assistetti ad una scena terribile: un bambino veniva impiegato per trasbordare da una barca al pontile grossi sacchi di sabbia. Erano evidentemente troppo pesanti per la sua età: era un lavoro adatto ad un adulto, non certo ad un minore. Il bimbo, sotto sforzo, inciampò, cadde rovinosamente a terra e il sacco di sabba finì in acqua disperdendo nel fiume tutto il suo contenuto. Il ‘padrone’, vale a dire il datore di lavoro, lo prese a bastonate perché aveva perso un carico di sabbia, senza curarsi minimamente del suo stato di salute. Quella scena fu davvero drammatica ed è la foto dell’ingiustizia che vivono i bambini costretti a lavorare a causa della povertà delle proprie famiglie”.

“I bambini vengono ‘arruolati’ dai padroni perché costano molto meno della manodopera regolare e sono molto più indifesi. Nessun sindacato li tutela poiché il lavoro minorile è vietato in tutto il mondo, almeno sulla carta. Le famiglie sono troppo povere per aiutarli. Sono dunque indifesi e spesso invisibili. Il centro di accoglienza della Comunità Papa Giovanni XXIII in Bangladesh – conclude la missionaria – li accoglie e li protegge, secondo il carisma del nostro fondatore, il venerabile don Oreste Benzi che aveva a cuore i gli ultimi della società. La Comunità offre a decine di bambini e ragazzi, attraverso l’istruzione e l’avviamento professionale, una concreta possibilità di uscita dalla povertà; per se stessi e (in prospettiva) per la propria famiglia”.

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