Un canale Telegram denominato “Doctor Terpz” dal quale si poteva accedere ad una sorta di menù attraverso il quale il cliente poteva ordinare in autonomia il tipo e la quantità desiderata di droga che avrebbe ricevuto direttamente tutto a casa. E’ in questo modo che veniva gestita la compravendita di droga attraverso il canale Telegram, ora chiuso: venivano pubblicizzate le sostanze e i loro prezzi, con tanto di “offerti speciali” e una sorta di “premio fedeltà” per i clienti più assidui. Le consegne dello stupefacente avvenivano attraverso dei servizi di “delivery” messi a disposizione dall’organizzazione criminale grazie a dei complici che svolgevano la funzione di corrieri espressi.
L’inchiesta della polizia
E’ quanto ha ricostruito la Polizia di Perugia che ha eseguito l’arresto di otto persone. L’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dal giudice per le indagini preliminari, la dottoressa Natalia Giubilei. A finire in manette sette italiani – di età compresa tra i 21 e i 27 anni e residenti tra Perugia e Castiglione del Lago – e una persona di origini albanese. Le ipotesi di accusa nei loro confronto sono di “essersi associati al fine di acquistare, detenere e cedere ingenti quantitativi di hashish”. L’inchiesta della polizia è iniziata, come riporta umbria24.it, con l’arresto di un 26enne nel settembre scorso, quando munito di tracking number entra in una tabaccheria dalle parti della stazione di Fontivegge chiedendo di ritirare un pacco. Il titolare della tabaccheria, riporta ancora umbria24.it, aveva “erroneamente aperto” lo scatolone contenente 4,3 chili di involucri di hashis e aveva avvisato le forze dell’ordine. Svolgendo accertamenti sul telefono di quel giovane gli investigatori hanno trovato il canale Telegram al quale lo stesso era registrato.
Il bot su Telegram
Il canale @Doctorterpzbot che ormai non esiste più – ricostruisce l’ordinanza – “è pubblico e raggiungibile da chiunque” e “risultava gestito da un bot, una sorta di risponditore automatico, un negozio virtuale nel quale i clienti in anonimato potevano effettuare un ordine, scegliendo la sostanza e il prezzo da un vero e proprio menu, impiegando la messaggistica”, riporta umbria24.it. Viene spiegato il meccanismo: “All’accesso era collegato un bot che indicava le offerte, le modalità di consegna, la tipologia di sostanza, la qualità del prodotto e i relativi prezzi, variabili a seconda dei quantitativi richiesti”. “Attraverso questi strumenti – prosegue il gip – gli indagati hanno creato un vero e proprio mercato virtuale di stupefacenti tale da escludere l’esistenza di colloqui fra i venditori e gli acquirenti, così da garantire l’impermeabilità del sistema”.
Il giallo del secondo pacco
Viene inoltre ritenuta “significativa” dal giudice l’intercettazione di un indagato: “La conversazione permette di capire come, oltre ai quattro chili sequestrati, manchi un altro pacco dello stesso peso che era ugualmente atteso ma che, non essendo stato sequestrato, non si capisce che fine abbia fatto e che la sua principale preoccupazione, in quel momento, era quella di gestire 40 chili di stupefacente nascosti in un garage”.
Conclude il magistrato: “Gli indagati hanno dato dimostrazione di essere dediti pressoché esclusivamente al traffico e alla cessione degli stupefacenti, dal quale traggono evidentemente in parte o in tutto, il proprio sostentamento. Quello che emerge è uno stile di vita delittuoso, finalizzato a procurarsi lo stupefacente e a rivenderlo. Lo spessore criminale dell’associazione è testimoniato dall’entità complessiva dei sequestri effettuati, per oltre 57 chilogrammi, sequestri che, tuttavia, hanno avuto un peso relativo nell’attività criminosa, che è continuata, e a cui la compagine ha saputo far fronte. Quella posta in essere dai giovani indagati è una rete di collegamenti capillari, all’interno della quale ciascun soggetto ha un proprio compito, sotto le direttive del promotore principale, affiancati da collaboratori più stretti e da altri partecipi che fungono anche da corrieri al dettaglio”.