Padre Alberto Abreu è il Cappellano dell’Ospedale Sant’Andrea. Una chiamata particolare, la delicatezza e la fede sono i segni che lo contraddistinguono. Una missione importante in un luogo di sofferenza, portare Dio dove è di casa. Esercita il suo Ministero con grande dedizione e amore. Ci accompagna con chiarezza verso quello che ai più mette paura, il conforto spirituale a chi trascorre le ultime ore su questa terra. .
Da quanto tempo svolge la sua missione in ospedale?
“Da circa un anno sono al Sant’Andrea, precedentemente sono stato vice parroco ad Ostia e a Villa Spada . Ovviamente svolgevo mansioni diverse da queste. Ho chiesto di essere mandato in un ospedale perché la considero una vocazione nella vocazione, pregare per chi soffre e con chi sta nella sofferenza era un mio grande desiderio. Ringrazio il Vicariato che ha favorevolmente accolto la mia richiesta”.
È difficile farsi accettare?
“C’è diffidenza, la figura del sacerdote in un luogo di sofferenza nell’immaginario collettivo prelude alla fine della vita, è un concetto evidentemente errato, che va sfatato. Il sacerdote è lì per guarire lo spirito prima di tutto. Si pensa sempre al corpo, per l’anima c’è sempre 'tempo', ma a volte non è così. La Chiesa insegna la pedagogia della sofferenza, l’esperienza della malattia non è mai fino a se stessa, ma è chiaro che per comprenderlo occorre lo sguardo della fede”.
Quale è il sacramento che lei amministra?
“È l’unzione degli infermi principalmente, ma non solo. Erroneamente e popolarmente è chiamato 'estrema unzione' ma non è così, è il sacramento che si amministra ai malati anche non gravi, a tutti i malati. Per chi lo desidera, è per eccellenza il sacramento della guarigione, non smetterò mai di ripeterlo. Si amministra ai vivi non a chi non c’è più”.
Quando va amministrato?
Nei casi di malattia. E' un sacramento non un gioco, va saggiamente amministrato. Si fanno preghiere particolari adatte alla circostanza, anche in questo la Chiesa offre le preghiere per ogni caso.
Perché fa così paura?
“Perché in genere si chiama il prete quando una persona sta lasciando questa vita. Invece andrebbe fatto prima, essendo un sacramento legato alla guarigione, ho avuto esperienza in tal senso. Pregando con fede e amministrando l’Unzione ci sono stati casi di miglioramento.Tutto è proporzionato alla fede e alla volontà di Dio ovviamente. Sicuramente chi lo riceve di propria volontà ne trae grande beneficio, anche perché non è disgiunto dalla Confessione, altro sacramento di primaria importanza, non dimentichiamolo. Anche la Confessione libera e guarisce”.
Se una persona è credente, ma non è in condizioni di decidere cosa si fa?
“Ci si affida alla decisione dei familiari, che troppo spesso sono fragili e temono che il congiunto alla vista del sacerdote possa avere timore della fine e a volte evitano, ma facendo così privano quella persona dei conforti religiosi, di una preghiera, pensano di lasciare in pace invece spiritualmente fanno un danno. Un sacerdote sa come comportarsi, è sensibile, sa come agire in certi casi, ma non si fidano, ritorniamo sempre alla paura”.
Ha avuto esperienze particolari?
“Sì, ultimamente mi è stato chiesto di celebrare un matrimonio in espedale, è una richiesta insolita, ma mi rende felice, e poi ricordo un militare, che purtroppo è deceduto. Ogni volta che gli portavo l’Eucarestia era felice, emozionato. Lo ripeto senza stancarmi, noi siamo presenti per recare sollievo, conforto, speranza nel nome di Gesù Cristo. Il Ministero Sacerdotale è una grazia immensa, i doni che il Signore elargisce ai sacerdoti sono innumerevoli, sono i carismi e, tra questi quello della guarigione e liberazione. Un sacerdote che crede nel suo ministero può guarire. Dio agisce sempre, non solo nel passato, anche oggi Lui parla e guarisce, oggi si è persa la fede, è poca, per questo ci sono poche guarigioni e liberazioni.
Se si arriva tardi?
“Non si può fare più nulla, tranne che dare una benedizione non si può fare altro. Quando si pensa che una situazione è complessa non si deve temere di salvare un’anima. Le medicine si danno in tempo non quando non servono più”.
Come comincia la sua giornata?
“Con la Santa Messa, poi vado nei reparti dove sono chiamato, in genere sono i degenti che mi richiedono, spesso sono anche i medici e infermieri che segnalano laddove la mia presenza può essere di aiuto, ovviamente anche i familiari. Porto l’Eucarestia a chi ne fa richiesta, ma non forzo mai nessuno, la volontà altrui non va mai forzata. Quando vado nei reparti mi affaccio nelle stanze e do un saluto, se viene raccolto allora sono felice e rendo Gloria a Dio. È per Lui che lavoro, non per me”.