In un celebre testo, Saggio sul mistero del tempo, Daniélou dichiara: “Da un lato il cristianesimo è nella storia. Esso appare a un dato momento nello sviluppo degli avvenimenti storici. Fa parte della trama della storia totale. In questo senso è oggetto di conoscenza per lo storico che lo descrive, in quanto affiora nella serie dei fatti storici osservabili. Ma d’altronde la storia è nel cristianesimo; la storia profana rientra nella storia sacra, perché essa, se mai, a sua volta è una parte in un tutto dove rappresenta una preparazione”.
I grandi eventi, così come i singoli fatti quotidiani si ricoprono di un velo di mistero. Non possiamo, cioè, guardare ai fatti passati e futuri con i soli occhi della pura razionalità. Con l’Incarnazione, infatti, la storia è stata sconvolta, o meglio, ricapitolata. Uomo e Dio si sono incontrati, si sono riabbracciati, si sono per sempre riconciliati. Tutto, in questo modo, si tinge d’Infinito; un Infinito che è possibile scorgere solamente se riusciamo ad entrare profondamente nelle piaghe più profonde della realtà. Per fare questo occorre compiere un’opera di purificazione, di discernimento interiore ed esteriore. Occorre, infatti, purificare la nostra mente, il nostro cuore, la nostra vista, tutto noi stessi per poter riuscire a vedere il Volto di Dio riflesso in ogni cosa, specialmente nell’homo viator: nell’uomo, cioè, che è disposto a lasciare tutto per avventurarsi in quel cammino per le strade del mondo alla ricerca della Verità, della Giustizia, della Pace, dell’Amore.. di Dio.
Ma per vivere così occorre avere una buona vista. È necessario saper scorgere oltre le apparenze per riuscire a vedere il volto di Cristo veramente presente in tutte le persone, specialmente i poveri. Bisogna, per riprendere un’espressione di Metz – ripresa dal suo testo Mistica degli occhi aperti. Per una spiritualità concreta e responsabile – : “vegliare, vigilare, aprire gli occhi”.
Il cristianesimo, prosegue Metz, “deve prima di tutto essere anche una scuola del vedere, del guardare avanti, e la fede deve essere prima di tutto un vestito degli uomini con gli occhi aperti, con gli occhi per gli altri, prima di tutto per coloro che restano solitamente invisibili nell’orizzonte di ciò che ci è familiare”.
L’esperienza mistica, cioè, non consiste tanto nell’avere visioni straordinarie, ma nell’avere uma visione nuova di tutta la realtà, uno sguardo nuovo sul mondo, scoprendo Dio come sua ultima verità, come suo fondamento vivo, attuante e sempre nuovo.
Secondo Metz, “la mistica è una mistica che cerca il volto, che porta prima di tutto all’incontro con gli altri che soffrono, all’incontro con la faccia degli infelici e delle vittime”: è una mistica che obbedisce, innanzitutto, “ai sofferenti”.
Il mistico con occhi aperti, quindi, apre bene il suo sguardo per percepire tutta la realtà, perché sa che l’ultima dimensione di tutta la realtà è abitata da qualcuno, da Dio. Si relaziona con il mondo, rendendosi conto dei segnali di Dio che riempiono tutta la Creazione con la sua azione incessante, con la sua affascinante creatività senza fine. In questo vedere in questo aprire gli occhi, risiede ciò che lo sguardo umano vede o può vedere è lo spessore stesso dell’umano e Del creato come luogo di rivelazione di Dio invisibile.
È proprio a partire da questa esperienza, che scalda il nostro cuore e ci dona occhi nuovi per guardare il mondo e gli altri in maniera nuova, che siamo chiamati ad incamminarci per le strade del mondo testimoniando ciò che abbiamo visto: “Colui che era fin da principio, colui che noi abbiamo udito, colui che abbiamo veduto con i nostri occhi, colui che contemplammo e che le nostre mani toccarono, cioè il Verbo della vita – poiché la vita si manifestò e noi l’abbiamo veduta e ne diamo testimonianza e vi annunziamo questa vita eterna che era presso il Padre e che si manifestò a noi – colui che abbiamo veduto e sentito lo annunziamo a voi, affinchè anche voi abbiate comunione con noi.