Le note biografiche di san Francesco d'Assisi, almeno per sommi capi, tutti le conoscono. Nato ad Assisi nel 1181 o 1182, dopo essersi dato nella giovinezza alle feste con successo, e anche alle armi, senza alcun successo, decise di vivere Cristo colto nei Vangeli, cioè nella fonte prima della conoscenza di Cristo. Il Signore poi gli “diede dei frati” che seguirono il suo esempio di vita secondo il Vangelo. Intraprese così una vita di comunione fraterna e di apostolato così come gli apostoli e i discepoli ebbero in Cristo. Sappiamo dell'audacia dei suoi viaggi missionari che lo portarono in Spagna e poi fino in Egitto a seguito della quinta crociata. Ritornato dall’Egitto sul monte La Verna ebbe le stimmate che lo configurarono a Cristo crocifisso. Lasciò la terra per il Cielo il 3 ottobre del 1226, nella dimora della Porziuncola.
Francesco, uomo realizzato
Già in questi brevissimi accenni troviamo Francesco interessante per la sua scelta di fare del Vangelo la sua regola di vita. Altro punto interessante è la dimensione missionaria che costantemente visse, spingendosi anche lontano dall'Italia. Infine le stimmate. Ciò che più colpisce, considerando quanto san Francesco sia amato, stimato, imitato, è che mai nessuno ha detto che san Francesco sia un uomo del medioevo, che va confinato nel suo tempo. Al contrario Francesco entusiasma, stimola uno sguardo ottimista sul futuro, senza banalizzazioni o speranze stolte. Affascina Francesco, perché si presenta come un uomo realizzato, non nel senso di arrivato economicamente o professionalmente, ma realizzato come uomo, testimone della possibilità, in Cristo, di un mondo rinnovato, liberato dall’odio, dalle guerre, dalla contaminazione del creato. Uomo libero dalle catene dell’egoismo, che trascende il medioevo, pur ricco di valori anche se denigrato, prospettando ancora la possibilità che gli uomini e le donne siano e si sentano fratelli tra di loro.
I volti della Carità
Ciò che rende giovane Francesco è precisamente la carità, l'amore verso Dio e verso il prossimo; non solo i fratelli di fede, ma tutti gli uomini. È uno sguardo nuovo sull'uomo, come ci dice san Paolo (2 Cor 5,16): “Non guardiamo più nessuno alla maniera umana”, cioè in base al censo, alla ricchezza, al potere, all’età, alla salute, alsapere. Si guarda l’altro in quanto amato da Cristo. Le barriere cedono di fronte alla carità, che viene da Cristo. La carità, vissuta, fa sempre sperare in un mondo diverso, perché la speranza è ancorata alla carità, ed entrambe sono legate alla fede. La carità cambierà e salverà il mondo; la carità, perché è essa che rende bello il cuore. Solo così la frase di Dostoevskij ne L'Idiota “La bellezza salverà il mondo” ha il suo valore e la sua univoca interpretazione. Francesco nelle sue laudi a Dio Altissimo dice: “Tu sei bellezza”. Bellezza in sé stessa, e bellezza nella sua partecipazione alla creatura. La creatura, il creato è contaminato, violentato, quando il cuore dell’uomo non ha la carità che lo rende bello e gli fa amare la bellezza delle cose e quindi tutelarla.
Il motore del cambiamento
Cambiamento, parola magica ormai, affidata alle arti dell'inganno. Tutti parlano di cambiamento, ma nessuno sa quale cambiamento per l’uomo, se non quello tecnologico spinto fino a sognare un uomo digitale, confinato in città tecnologiche della solitudine e della nevrosi, la cui espressione più diffusa è avere tutto e subito, senza poi sapere precisamente che cosa. La reazione contro il tecnologismo è quella di correre verso la natura in una fuga da polveri sottili, inquinamenti acustici, strette del traffico, complicazioni burocratiche e password a ripetizione. Fuga, ma solo fuga e non forza di cambiamento. La carità è la forza del cambiamento. Francesco ancora oggi parla di cambiamento. La sua chiamata avvenne in un secolo molto difficile dove la parola cambiamento sembrava sconosciuta. Pareva che il mondo fosse giunto a un equilibrio stabile tra la Chiesa (Il sole) e l'impero (la luna). Francesco nel Vangelo scoprì che il cambiamento sta nella carità, dono riversato nei cuori dallo Spirito Santo. Non per nulla Francesco diceva che il Generale dei Frati minori è lo Spirito Santo, fuoco di carità. La carità è spinta al cambiamento, perché fa vedere l’uomo nella sua realtà di essere chiamato a Dio e da Dio. Cambiamento. Il Cantico di Frate sole pare solo lode a Dio di Francesco, ma è carico della volontà di cambiare la posizione interiore degli uomini nel guardare il creato. I Catari vedevano il creato come proveniente da un Dio malvagio, solo lo spirito imprigionato nel corpo dell’uomo veniva da un Dio buono. Francesco guarda la creazione nella sua bontà, essa procede tutta da un solo Dio, buono, provvidente, pronto al perdono. I ricchi guardavano le cose create per appropriarsene, rubando a Dio i doni di Dio all’uomo, in un gesto di assurdo furto.
La Croce e la letizia
I miserabili a volte odiavano la vita. Francesco ha amato la vita. Il Cantico di Frate sole fa amare la vita, anche se parla di “sorella morte”, ma in tal modo assorbendola in evento di vita. I violenti amavano distruggere,
amavano vedere la morte attorno a loro in un sacrificio umano sul nero altare del loro vivere. Francesco non distrugge, edifica, vuole vita, vuole pace e vuole bene. Colpisce la perfetta letizia di Francesco, legata all'accettazione generosa e appassionata della croce. Qua forse la simpatia per Francesco è meno entusiasta, meglio sant'Antonio che non ha le stimmate, ma solo un bambinello in braccio: considerazione superficiale perché anche sant’Antonio è stato un grande amante della croce. Le stimmate parlano di croce eppure la perfetta letizia è connessa alla croce, e Francesco ne è un testimone indubitabile. La croce accettata, amata, è luogo della vittoria della carità sull'odio, e la carità è perfetta letizia. Il cambiamento della storia passa attraverso la croce, piccola o grande che sia.
Fraternità totale
Francesco è frate Francesco, frate minore, che ha amato i frati che il Signore gli “diede”, e anche quelli futuri. La fraternità è caratteristica di Francesco, ma anche qui dobbiamo precisare che l'amore fraterno bisogna unirlo alla carità, come ci dice san Pietro (2Pt 1,7). Se l'amore fraterno non fosse unito alla carità tutto crollerebbe in una convivenza opportunista e ipocrita. Ma se unito alla carità vuol dire che l'amore fraterno è amore per la santificazione del fratello, la sua unione con Dio. La carità poi cresce e trionfa sul terreno della croce. Non perché la vita fraterna sia in sé croce, ma perché satana, il mondo, la carne, fanno si che la croce ci sia.