Dalla piazza la parola passa al Parlamento. Dopo il Family Day, andato in scena al Circo Massimo di Roma lo scorso sabato a una settimana dalle manifestazioni pro “Unioni Civili” promosse dalle associazioni Lgbt nel centro della Capitale, il ddl Cirinnà arriva alla prova del Senato. Il governo, nonostante le richieste trasversali giunte dai politici di orientamento cattolico, non ha messo mano al testo che dunque giunge al voto nella sua formulazione originaria. Matteo Renzi, per evitare scossoni nella maggioranza, ha lasciato libertà di coscienza agli esponenti del Pd, che potranno decidere in base alle proprie convinzioni etico-religiose.
Prima dell’inizio della discussione sul testo Palazzo Madama ha respinto le pregiudiziali di costituzionalità. In mattinata Angelino Alfano aveva proposto al Pd lo stralcio della “Stepchild adoption” come presupposto per l’apertura di una trattativa sul ddl registrando una reazione piuttosto fredda da parte dem. Una situazione che rispecchia il confronto-scontro che, da qui alla settimana prossima, infiammerà la maggioranza di governo e il Pd sulla stepchild. Perché se il capogruppo Dem al Senato Luigi Zanda considera la proposta di Alfano “un sensibile passo avanti” sottolineando come sulle adozioni “occorra avere prudenza” ma, al tempo stesso, “seguire le indicazioni” di Consulta e Corti europee, dalla maggioranza dei senatori Dem traspare la volontà ad andare avanti sugli emendamenti Lumia, che non prevedono alcuna limitazione alla stepchild.
Certo, nessuno esclude il rischio di un affondamento a voto segreto dell’art.5 del ddl e nessuno scommette sulla compattezza del M5S ma uno stralcio dell’art. 5, al di là del merito, è considerato “tardivo”. E non convincono, anche da un punto di vista giuridico, le proposte di mediazione – come quella sul biennio di pre-affido – avanzate dai pontieri Dem per tenere unito il partito e catturare una parte dei centristi. La stepchild, infatti, oltre alla maggioranza continua a dividere il Pd. Non sono passati inosservati, oggi, i primi interventi del senatori pro-affido in Aula, tutti di tenore ben diverso dalle parole con cui Monica Cirinnà, aprendo la discussione, ha affermato che il testo, “nella sua quarta versione, è già una sintesi moderata”, definendo “spaventosi fantasmi” i dubbi sull’apertura, nel ddl, alla maternità surrogata.
Se si è contrari, si voti l’emendamento che prevede che la gestazione per altri sia reato anche all’estero, “basta ipocrisie”, è la replica del Cattodem Stefano Lepri. La mediazione, insomma, è lontana e nel Pd non si nascondono “le insidie” legate ai voti segreti. Insidie direttamente proporzionali al numero di scrutini segreti che il presidente Pietro Grasso ammetterà. Anche per questo frena il patto Lega-Pd sul ritiro degli emendamenti, con il Carroccio che annuncia di mantenere 500 emendamenti su 5000 in cambio del ritiro del canguro Marcucci-Cantini ma con il Pd che vuole prima verificare quali sono gli emendamenti che la Lega terrà e se, tra questi, ci sia un contro-canguro. E il risultato è che ieri nessuna delle due parti ha formalizzato il disarmo.
Di certo, il Pd conta di captare nel segreto dell’urna anche qualche esponente di Ap e di Fi oltre al sostegno di parte di Ala e di una parte del Misto. Ma i 30 no dei Cattodem per ora restano così come il timore che, sul bivio affido/stepchild, il ddl si giochi tanto del proprio futuro. Intanto, si continua a trattare sottotraccia per trovare un punto di caduta in qualche modo condivisibile.
Due sono le parti del disegno di legge su cui si sono alzati i toni dello scontro politico con le opposizioni di centrodestra e anche nella stessa coalizione che sostiene Renzi. La prima riguarda la sostanziale equiparazione delle coppie omosessuali “riconosciute” alla famiglia tradizionale e quindi l’identità strutturale, che si verrebbe a creare, fra matrimonio e unione civile. Questo deriva da una serie di norme mutuate dalla legislazione matrimoniale che verrebbero applicate alle convivenze legalizzate. Fra queste, ad esempio, la cause ostative, quali: la minore età, l’assenza di un precedente vincolo coniugale, la parentela e così via. Un altro aspetto controverso riguarda l’obbligo di fedeltà, considerato, da alcuni giuristi, uno degli elementi caratterizzanti il connubio.
In sostanza, quindi, con il ddl Cirinnà, verrebbe creata una “famiglia” alternativa a quella classica, studiata appositamente per le coppie gay. La “cerimonia” avverrebbe davanti all’ufficiale dello stato civile e a due testimoni, proprio come avviene per i matrimoni previsti dalla nostra legislazione. Dal negozio giuridico così stipulato nascerebbero diritti e doveri simili a quelli di marito e moglie. Si potrà scegliere il regime patrimoniale (comunione o separazione dei beni) e si avranno una serie di diritti di natura economica ed ereditaria, come l’assistenza sanitaria e la reversibilità della pensione in caso di decesso di uno dei due partner.
L’aspetto più delicato è quello della cosiddetta stepchild adotpion, cioè la possibilità di adottare il figlio naturale del proprio compagno in determinati casi. La preoccupazione espressa dai cattolici, e non solo, a più riprese è che tale norma possa favorire la pratica dell’utero in affitto dando luogo ad adozioni vere e proprie. Se la ratio della “Stepchild Adoption” dovrebbe essere quella di salvaguardare la prole preesistente nei casi di abbandono o morte del genitore naturale, in assenza di una disciplina più rigorosa la sua entrata in vigore potrebbe portare le coppie omosessuali a rivolgersi a donne disponibili alla fecondazione (anche a pagamento) per avere dei figli loro. Le finalità della norma verrebbero pertanto facilmente aggirate. Tanto che non è mancato chi ha espresso il sospetto che l’adozione del figliastro sia un modo per liberalizzare le adozioni vere e proprie da parte dei partner omosessuali.