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Quei ghetti di immigrati che incendiano la Svezia

Violenze, auto incendiate, tafferugli con la polizia, zone franche, sharia. L’immagine della Svezia ridente e pacifica rischia di eclissarsi dinanzi a quanto sta avvenendo in alcune periferie delle sue principali città.

Un sogno infranto

Circa quarant’anni orsono, l’alba di un nuovo avvenire sembrava sorgere agli occhi di tanti con il nome di Folkhemmet (la casa di tutto il popolo), un progetto dell’elite politica socialdemocratica svedese che aveva l’obiettivo di ridurre le disparità economiche e incoraggiare la solidarietà. Il presupposto era che la Svezia culturalmente omogenea diventasse multiculturale: una mite mescolanza di genti.

Chissà cosa ne pensano gli ingegneri sociali di allora della piega che ha preso il loro laboratorio interetnico svedese. Quello che doveva essere un modello, oggi è una crisi che le autorità hanno serie difficoltà a gestire. L’integrazione ha spesso ceduto il passo alla ghettizzazione degli immigrati in periferie diventate off limits persino per la polizia.

Guerra tra bande

Il tema della sicurezza è deflagrato ad inizio gennaio, quando un uomo è morto in una stazione della metropolitana, alla periferia di Stoccolma, dopo aver raccolto da terra – nemmeno stesse a Kabul – una bomba a mano inesplosa. A questo episodio ha fatto seguito l’assalto ad una stazione della Polizia nella periferia di Malmo: verso l’edificio è stato lanciato anche un ordigno la cui esplosione si sarebbe udita in tutta la città, la seconda più grande del Paese.

E non si tratta di casi isolati. Negli ultimi tempi le cronache locali danno conto di feroci scontri tra bande di criminali, con decine di sparatorie e attacchi esplosivi. Questi ultimi sono stati 54 tra il 2011 e il 2016. Mentre gli attacchi con ogni tipo di arma da fuoco sono triplicati tra il 2008 e il 2016. Secondo alcuni media, solo nell’ultimo anno sarebbero stati almeno 300 gli scontri con armi da fuoco e dall’inizio del 2018 già quattro persone sarebbero state uccise.

L’origine dei disordini è quasi sempre da ricercare nella guerra tra bande che infestano le periferie svedesi. Uno studio dell’Università di Gavle spiega che il 35% di tutti gli omicidi avvenuti nel Paese tra il 2007 e il 2011 è collegato alla violenza tra gang. Non è un caso che il Governo britannico, sulla pagina del proprio sito dedicata ai consigli di viaggio per i propri cittadini, segnali che in città svedesi come Malmo e Goteborg si verificano crimini violenti, spesso dovuti a guerre tra bande, che sfociano in sparatorie ed esplosioni.

Effetti dell'immigrazione

Queste formazioni criminali sono composte perlopiù da giovani con cognomi tutt’altro che scandinavi. Infatti in un’intervista al New York Times, il prof. Henrik Emilsson, ricercatore sul tema dell’immigrazione all’Università di Malmo, ha spiegato che “gli autori di scontri e violenze nei sobborghi sono spesso figli di immigrati e persone che sono arrivate nel Paese quando erano giovani”. Dunque, si tratta di immigrati di seconda o terza generazione la cui condizione sancisce il fallimento del modello di accoglienza svedese.

In alcune periferie di Malmo, ha spiegato il vicesindaco Nils Karlsson, come riporta Il Post, la disoccupazione arriva al 40%, mentre in altre zone è all’1%. E l’esclusione sociale può spingere i giovani a cercare poli aggregativi al di fuori della legalità, finanche nel più violento fondamentalismo religioso. Proprio a Malmo, del resto, esistono periferie in cui per la strada è più facile incontrare donne con il volto coperto dal velo islamico piuttosto che con i fluenti capelli biondi lungo la schiena.

Sharia “made in Sweden”

La culla del femminismo, come era considerata un tempo la Svezia, sta per essere inghiottita dai precetti più rigidi di qualche predicatore fanatico. Il portale Stv riporta il disappunto di femministe storiche svedesi come Nalin Pekgul e Zelida Dagli, costrette a dichiarare di aver dovuto abbandonare quartieri di Stoccolma ormai in mano agli jihadisti, per le minacce ricevute direttamente e per le molestie cui vengono sottoposte sempre più spesso le donne. Da quegli stessi ghetti, forse, sono partiti i circa 300 foreign fighters che hanno ingrossato le fila dell'Isis in Iraq e Siria. Secondo un rapporto del Centro nazionale per gli studi sul terrorismo, 120 di loro sono tornati nel Paese nordico. Con questi numeri non stupisce che nell'aprile scorso un uomo d'origine uzbeka alla guida di un camion si è scagliato sulla folla a Stoccolma provocando diverse vittime.

Che la situazione stia sfuggendo di mano non è una paranoia di pochi, se nel giugno 2017 una relazione del Governo svedese riferiva che le “zone di alta pericolosità”, a causa dell’applicazione della sharia, nel primo semestre del 2017 sono diventate sessantadue contro le cinquantacinque del dicembre 2016. Condizione di pericolo che avverte la popolazione ebraica. Fredrik Sieradzki, portavoce del Centro culturale ebraico di Malmo, spiega a La Stampa: “Nelle scuole i nostri studenti sono spesso oggetto di aggressioni. L’antisemitismo è pervasivo. C’è risentimento da parte dei giovani che arrivano dal Medio Oriente”.

Quale rimedio per evitare la “guerra civile”?

Dan Eliasson, commissario della Polizia Nazionale Svedese, ha reso noto che ormai le forze dell'ordine non sono in grado di entrare in alcuni di questi ghetti e ha lanciato tramite la tv l’appello a fare qualcosa: in alcuni quartieri addirittura i commissariati sarebbero stati chiusi. Più di qualcuno invoca l’invio dell’esercito. Anche il Partito Socialdemocratico al Governo deve ammettere che l’ingranaggio del “paradiso svedese dell’integrazione” si è inceppato. “Schierare l’esercito non sarebbe la mia prima scelta”, ha detto il primo ministro Stefan Lofven in un’intervista all’agenzia di stampa TT, “ma sono pronto a fare tutto quello che servirà per assicurarmi che la vera criminalità organizzata venga fatta sparire”.

Sono sempre di più gli svedesi che ritengono sia giunto il momento di posare la carota e prendere il bastone. Lo testimonia l’ascesa politica dei Democratici Svedesi, partito di estrema destra che in dodici anni, dal 2002 al 2014, è salito dall’1,4% al 12,9%, conquistando 49 seggi in Parlamento. E la questione si fa intrigante in vista delle elezioni di settembre. Nel Paese, infatti, cresce il numero di quanti la pensano come Patrik Engellau, esperto di geopolitica che ha lavorato anche all’Onu, il quale sul proprio sito scrive: “Temo che possiamo essere alla fine della Svezia come società organizzata, decente e egualitaria, come l’abbiamo conosciuta fino ad ora. Non mi sorprenderei se si scatenasse un conflitto, una possibile guerra civile. La guerra civile è già iniziata”.

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