Volksparkstadion,Ā Amburgo, 22 giugno '74, quindici anni prima della caduta del Muro. Romantico pensare che tutto cominciĆ² da lƬ, laddove di romantico non c'ĆØ praticamente nulla.Ā Allora era ancora Germania Ovest la cittĆ anseatica e lo era ancheĀ quell'estate, nella stagione deiĀ Mondiali giocati in casa. Un paradosso che proprio lƬ, in campo sportivo, dove tutto si azzera in nome del confronto paritario, giocassero quel giorno due squadre che parlavano la stessa lingua, condividevano lo stesso passato funesto ma conservavano una visione decisamente diversa del futuro. Maglia bianca una, l'Ovest, blu l'altra, l'Est, con una bandiera praticamente identica. Che il primo colpo al muro di Berlino lo avrebbe dato un pallone, di lƬ a qualche minuto, non se lo aspettava nessuno. Qualcuno sembra che nemmeno lo volesse. PerchĆ© il derby delle Germanie era la ribalta giusta per scrostare via l'opaco che impermeabilizzava la cortina ferro, per far vedere a tutti che la vita dietro un muro logorava le gambe, non solo l'anima delle persone. Il gol della clamorosa vittoria alla Ddr lo firmĆ² Sparwasser, lui, la mezzala che non accettĆ² l'etichetta di uomo-immagine e che di lƬ a qualche annoĀ avrebbe lasciato il Paese per non tornarci con quella barriera ancora in piedi. Un'occasione giusta, lƬ ad Amburgo,Ā per dimostrare qualcosa che la vittoria dell'Est non rappresentava. Lo percepirono tutti, tedeschi compresi, a undici anni daĀ quello che disse Kennedy a Berlino.Ā Una prima crepa, inconsapevole, inosservata, inaspettata. Ma giĆ decisiva.
Cade il Muro
Non fu una cosa immediata ma tre lustri furono sufficienti per capire che quella barriera di 155 chilometri, l'Antifaschistischer Schutzwall,Ā con la sua striscia della morte che spaccava in due la futura capitale della Germania unita aveva finito il suo tempo. Un progetto nato su basi assurde, con l'idea che una struttura fisica bastasse a scongiurare la “contaminazione” occidentale nel blocco sovietico, eĀ cresciuto nei tentativi di essere strappato via, per finire con un abbattimento che apriva un mondo tutto nuovo, in un momento storico in cui forse lo si aspettava di meno. O forse la si considerava quasi una deriva naturale delle cose, ora che l'Urss mostrava inequivocabili segnali di cedimento e unĀ Antifaschistischer SchutzwallĀ sembrava ormai un nome fuori dal mondo. L'immagine consegnata alla storia ĆØ quella dei Mauerspechte, i “picchi” che abbatterono fisicamente la barriera, che tornarono a vedere per intero la Porta di Brandeburgo, che indirizzarono l'ultimo grosso ghiacciaio della Cold War al definitivo scioglimento, raccogliendoĀ al volo l'annuncio di Gunter Schabowski, con annesso l'ormai storico qui pro quo, che volle erroneamente entrare in vigore con effetto immediato le nuove normative che consentivano lo spostamento da Est a Ovest. Il tappo rimosso portĆ² migliaia di berlinesi a confluire sul Muro da entrambe le aree cittadine, cogliendo di sorpresa le guardie di frontiera che, non sapendo cosa fare, alzarono le barriere. Per la prima volta, dopo 27 anni, nessuno sparĆ² contro chi attraversava.
Live in Berlin
Se ĆØ vero che sono i grandi uomini a fare la storia, ĆØ altrettanto vero che esistono momenti in cui parte della storia si diventa tutti insieme. Il crollo del Muro mise idealmenteĀ fine a un'epoca non piĆ¹ di paura ma di assuefazione alla paura, lasciando ai sentimenti fin lƬ repressi dall'affilato equilibrio della Guerra fredda la possibilitĆ di tornare a scorrere liberamente. Ed erano tutti lƬ, fra i “picchi del muro”, a cavallo dell'imbrattato mattonato al di qua di Pariser Platz, a qualche decina di metri da dove sorse il palco da cui Reagan, due anni prima, chiese a Gorbacev “Tear down this wall”, “Abbatta questo muro”: “Ricordo i volti delle persone – ha raccontato il fotografo Lorenzo Capellini, testimone di quei giorni, in occasione della presentazione alla Camera della mostra fotografica Cade il muro di BerlinoĀ -. In pochi minuti ho visto su quei visi, sia delle genti dell'Est che dell'Ovest, un insieme di sentimenti incredibili: la paura, la perplessitĆ , lo sgomento, l'incredulitĆ , perchĆ© successe d'un tratto quello che in ventotto anni non era mai successo”. Ma l'entusiasmo, come sempre, era destinato a finire presto. Un anno forse, o giĆ¹ di lƬ, quel tanto che bastĆ² a Roger Waters per allestire lo show di The Wall dinnanzi ai resti della Schutzwall, il suo storico Live in BerlinĀ a Potsdamer Platz, per quasi trent'anni una piazza d'armi desolata, ora ritrovo di migliaia di persone in festa convinte finalmente di non essere piĆ¹ solo “another brick in the wall”.
I nuovi muri
Era inevitabile che quasi trent'anni di separazione – una parte cresciuta sotto l'ala capitalista, l'altra schiacciata dal peso di un regime – avessero lasciato ferite profonde. Ed era comprensibile che il progetto della riunificazione, per quanto sostenuto ed entusiasticamente portato avanti, conobbe piĆ¹ di qualche difficoltĆ . C'era qualcosa da sistemare nella coscienza collettiva degli ex Ddr, un tassello duro, sfiancante ma che aveva comunque contraddistinto ventotto anni di vita vissuta, di lavoro svolto, di tenori di quotidianitĆ rispettati, sia pure per abitudine piĆ¹ che per convinzione. In quei quasi tre decenni c'era stato chi non aveva sopportato la reclusione: piĆ¹ di 200 persone, uccise nella zona della morte nel tentativo di andarsene a Ovest. Altri se n'erano andati. Molti di coloro cheĀ restarono abbastanzaĀ per vedere gli eventi del 9 novembre '89,Ā se ne andranno nell'ex Ovest, trovando un mondo diverso da quello che, nella maggior parte dei casi, li aveva cresciuti. L'assorbimento nell'economia della Germania occidentale fu meno semplice del previsto, qualcuno perse il lavoro garantito, altri ancora faticarono enormemente a trovarne uno. Un processo forse inaspettato, che sviluppĆ² quel sentimento “ostalgico”, tutto tedesco, destinato a far parte della nuova-vecchia Berlino quasi quanto la soddisfazione per avercela fatta a tornare un tutt'uno. La normalizzazione non potrĆ essere lunga, perchĆ© il crollo del Muro impose l'improvvisa accelerazione della storia, richiedendo agli ostalgici di affrettarsi a non esserlo piĆ¹, almeno sul piano pratico. PerchĆ© la fine della Guerra fredda ha spalancato le porte all'era della globalizzazione, quella dello sviluppo frenetico, che di muri non parla ma, per paradosso, ne crea, scavando i solchi delle disuguaglianze che prosperano anche senza piĆ¹ barriere fisiche. La contraddizione propria dell'uomo, che fa del confronto aperto uno strumento di conoscenza ma anche di paura.