Non direttamente in Catalogna ma, per vie traverse, la nuova ondata di manifestazioni in Spagna poggia sulla discussione sempreverde sull'indipendenza della regione e i suoi risvolti su Madrid. Un tema preso a cuore dai movimenti di destra che, in giornata, hanno rimepito le piazze della capitale spagnola per manifestare contro l'atteggiamento del governo Sanchez sul tema, arrivando a inneggiare alle elezioni anticipate e paelsando la loro opposizione nei confronti dei partiti indipendentisti catalani e a qualsiasi concessione nei loro ocnfronti. I numeri non sono certi: 200 mila partecipanti secondo gli organizzatori, 45 mila secondo la Questura. Di sicuro, qualche decina di migliaia hanno occupato le vie di Madrid, in quella che è stata il primo vero atto di protesta nei confronti del governo socialista di Pedro Sanchez, dopo otto mesi dalla costituzione del suo esecutivo.
La protesta
Nel mirino dei manifestanti non finisce solo il governo Sanchez ma il suo tentativo di apertura al dialogo con i movimenti indipendentisti catalani, logica stigmatizzata con roza dai partiti di destra come Ciudadanos e Vox. Non è un mistero che, dopo il caos dello scorso anno seguito alla dichiarazione d'indipendenza della Comunità autonoma da Madrid, dichiarata dall'allora presidente Carles Puigdemont, i rapporti fra governo e Parlament siano per forza di cose ancora tesi. Ed è su questo aspetto che i manifestanti hanno fatto leva, accusando il capo del governo di voler spingere la Spagna verso una negoziazione che la priverebbe di una delle sue componenti essenziali: “La Spagna non è negoziabile” è stato uno degli slogan principali e, al fianco dei partiti della destra, in piazza si è vista anche qualche personalità del mondo culturale come Mario Vargas Llosa, Premio Nobel peruviano, e Manuel Valls, candidato sindaco di Barcellona (oltre che primo ministro di Francia).
Situazione complessa
A ogni modo, i colloqui messi sotto accusa sarebbero tutt'altro che a buon punto. Secondo il vicepremier Carmen Calvo, infatti, i gruppi indipendentisti sui quali Sanchez poggia in parte la sua stretta maggioranza in Parlamento, avrebbe respinto la soluzione offerta dal governo sulla mediazione e, ora come ora, la deriva sarebbe quella di una richiesta di nuovo referendum per la Catalogna la quale, certamente, incontrerebbe il dissenso del governo che, a sua volta, potrebbe risultare una decisione chiave in vista del voto sulla legge di Bilancio previsto per mercoledì, il quale a quel punto potrebbe non ricevere il sostegno dei partiti in questione e far seriamente vacillare la posizione di Sanchez, oltre alla stessa legge. Il tutto in un momento particolarmente teso visto che, martedì, inizierà il processo nei confronti di 12 membri dell'ex Parlament (tra i quali il vice di Puigdemont, Oriol Junqueras, il maggior leader dell'allora governo ad aver accettato la detenzione). Tutti rischiano fino a 25 anni di carcere, con l'accusa di ribellione e utilizzo improprio di fondi pubblici.