Ancora qualche giro di orologio e si saprà, una volta per tutte, se Donald Trump diventerà il terzo presidente della storia degli Stati Uniti a dover fronteggiare una messa in stato d'accusa (nello specifico per abuso di potere e ostruzione al Congresso nell'ambito del Kievgate) propedeutica a un possibile impeachment. In realtà, in una Camera dei Rappresentanti a maggioranza democratica e guidata da una speaker più che battagliera nei confronti dell'inquilino della Casa Bianca, il risultato è pressoché scontato. Ben più difficile sarà ipotizzare una conclusione negativa (per Trump) del processo in Senato, dove i repubblicani hanno confermato la leadership rendendo di fatto il caso del Tycoon molto simile a quello dei suoi predecessori Andrew Johnson e Bill Clinton, che all'applicazione pratica dell'impeachment non ci arrivarono. A ogni modo, ormai a un passo dall'inizio della vera e propria campagna elettorale, un processo di questo tipo rappresenterà un ostacolo non di poco conto per Donald Trump che verga peraltro una lettera indirizzata alla speaker Pelosi, condannando quanto messo in piedi nei suoi confronti e tacciando il comportamento dei rappresentanti come un colpo di stato.
Rapporti difficili
Una missiva amara quella di Trump, che accusa Pelosi di una “falsa dimostrazione di solennità” durante il processo di impeachment, specificando che “nessuna persona intelligente crede a quello che stai dicendo… La storia ti giudicherà duramente mentre procedi con questa farsa dell'impeachment”. Da parte sua, la speaker della Camera ha definito la lettera del presidente come una “sfacciata esposizione pubblica di risentimenti“, gli stessi avanzati già dall'inizio dell'inchiesta. Solo l'ultimo capitolo di un rapporto estremamente teso fra le due cariche americane, il cui ultimo incontro istituzionale risale a ottobre, interrotto peraltro per i pesanti toni che i due stavano usando l'uno contro l'altro.
Manifestazioni
Intanto, a poche ore dal voto anche i cittadini americani iniziano a manifestare il proprio dissenso nei confronti del presidente, con cortei a favore dell'impeachment che si sono diramati nelle principali città statunitensi, esponendo slogan quali “Trump è colpevole”. Da Houston (dove i manifestanti si sono radunati davanti all'ufficio del senatore repubblicano Ted Cruz) a New York, c'è una fetta di America che nel proprio presidente sembra non crederci più anche se, in realtà, gli stessi cittadini statunitensi sono probabilmente consapevoli della difficoltà di vedere andare in porto il processo d'impeachment, qualora passasse (come probabile) alla Camera. Questo passo, lo stabiliranno le sei ore di dibattito sui capi d'accusa. Poi la storia si farà da sé.